PHOTO
Scrivo questo articolo davanti ad una foto che me lo ha ispirato, risalente al 2014. Vito Crimi, nato 42 anni prima a Palermo ed eletto in Lombardia per il MoVimento 5 Stelle dopo avere dichiaratamente votato in vita sua, in ordine di tempo, per Rifondazione Comunista, Pds, Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, fa gli onori di casa a Beppe Grillo in una tribuna del Senato. Dove egli è quasi il più alto in grado del MoVimento, essendone stato capogruppo all’inizio della legislatura per tre mesi, l’anno prima, non potendo durare più di tanto quell’incarico fra i parlamentari pentastellati. Che debbono peraltro sentirsi e chiamarsi “portavoce”, essendo quello tradizionale di “onorevole” un titolo per loro troppo sputtanato per essere portato con disinvoltura.Grillo, come se fosse consapevole di averla fatta grossa spedendo in Parlamento il suo improvvisato MoVimento, fondato in piazza cinque anni prima, nel 2009, mandando “affanculo” il Pd che ne aveva rifiutato l’iscrizione pur formalizzata nella sezione sarda di Arzachena, parla a Crimi col volto coperto, e con la complicità del commesso di turno. Che non dovrebbe consentire di nascondere il volto, neppure ad un ospite politicamente di riguardo come il fondatore di un movimento, stavolta con la minuscola che gli spetta, rappresentato in aula. L’impossibilità di leggergli le labbra conferisce al colloquio fra Crimi e Grillo, in ordine rigorosamente alfabetico, una segretezza che rimarrà per sempre inviolata, come quella della posta elettronica spesso usata poi dal comico anche con Conte, che però ne stamperà il contenuto con riserva, non so fino a che punta minacciosa come qualcuno ha sospettato, di renderla pubblica “previo consenso” dell’altra parte. Grillo sa di potersi fidare di questo senatore già abituato di suo alla riservatezza per avere lavorato a Brescia in tribunale con la qualifica impiegatizia di assistente giudiziario. Ci sono tutti i presupposti insomma perché l’uomo possa fare carriera sotto le cinque stelle, dove la fiducia del fondatore, e poi “garante”, “elevato” e quant’altro è un requisito essenziale, presumibilmente più della competenza ed altri valori, veri o presunti che siano. E infatti Crimi ne fa, di carriera, per quanto sorpreso impietosamente una volta assopito in aula.Nella legislatura successiva, dopo la conquista pentastellare della maggioranza relativa nella legislatura uscita dalle urne del 2018, Crimi viene chiamato nel primo governo di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi ad occuparsi come sottosegretario dei problemi dell’informazione. E, spalleggiato da Grillo in persona, dichiara a suo modo guerra un po’ a tutti noi giornalisti, sospettati di fare più politica che informazione, come dice con franchezza una volta in un convegno alla Camera, rintuzzato dal presidente dell’associazione della stampa parlamentare. Ricordo nitidamente lo scontro, essendo avvenuto nella presentazione di una pubblicazione contenente anche un mio intervento su Tangentopoli e dintorni. Ma l’obiettivo di Crimi diventa, in particolare, Radioradicale. Di cui il sottosegretario contrasta il rinnovo di una convenzione con il governo in materia di lavori parlamentari e politici resistendo ad ogni forma di raccomandazione, compreso qualche discreto intervento del Quirinale a favore dell’emittente inventata da Marco Pannella. Il cui storico conduttore, e già direttore, Massimo Bordin fa in tempo a coniare per lui, prima di morire, la fulminante qualifica di “gerarca minore”, neppure questa rivelatasi tuttavia sufficiente a fermare il sottosegretario.Quasi come inizio o anticipo della capacità dei grillini di affrontare con più realismo i problemi, ricorrendo persino agli espedienti dei vecchi partiti, dove si può anche rimuovere qualcuno scomodo promuovendolo, Conte o chi per lui approfitta della prima crisi a portata di mano, nell’estate del 2019, nel passaggio dalla maggioranza gialloverde a quella giallorossa, per togliere l’editoria a Crimi mandandolo al Viminale come vice ministro dell’Interno. Bordin, scomparso prematuramente, non fa in tempo a compiacersene. Al Viminale tuttavia Crimi non può neppure immaginare di essere destinato ad un’impresa ancora più disperata di quella della guerra a Radioradicale: la reggenza, addirittura, del MoVimento 5 stelle dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo, nel mese di gennaio del 2020. Il mandato è ormai scaduto, anche più volte, ma è ancora lì sulle spalle di Crimi come membro più anziano del comitato di garanzia, previsto dallo statuto pur in presenza di un Garante, con la maiuscola, che è Grillo. Il quale, forse ancora fermo al ricordo di quella foto del 2014, si aspetta da Crimi, anzi da Vito, come più direttamente gli scrive, ordina, ammonisce e quant’altro, l’immediata esecuzione dell’ordine, giù accettato dal riassunto Davide Casaleggio, di affidare alla piattaforma Rousseau la chiusura del rapporto con Conte come incaricato verbalmente della rifondazione del movimento. Si tratta dell’elezione di un comitato direttivo, già decisa a suo tempo ma sospesa per ordine di Grillo, cui affidare riforma dello statuto e quant’altro. Ma Grillo ha fatto i suoi conti, plurale di Conte, senza Crimi. Che, quasi stanco di subirne il peso sulle spalle, come lo dipinge Nico Pillinini in una vignetta sulla Gazzetta del Mezzogiorno, si è sottratto all’ordine, almeno sino al momento in cui scrivo, di fatto incoraggiando Conte a riaprire il cassetto nel quale aveva riposto il nuovo statuto bocciato da Grillo. Che potrebbe diventare lo statuto di un suo nuovo movimento. E così abbiamo avuto anche il miracolo di un Crimi insubordinato, diciamo così. Quella foto adesso è forse diventata d’archivio davvero.