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Da dieci anni almeno i giornali, e non solo quelli italiani, scrivono periodicamente e con frequenza crescente lo stesso pezzo. Varia solo il nome del Paese di cui si parla, e il tipo di prova elettorale che si commenta. Segue allarmata cronaca dell'avanzata di turno dei "populisti", condita più o meno esplicitamente da anatema a carico dei medesimi. La conclusione prevede quasi sempre un passaggio sugli errori dell'establishment locale e, salvo il caso Trump, europeo, la cui responsabilità più grave pare essere proprio quella di regalare ossigeno ai "populisti" medesimi: non tanto gli errori in sé, quanto la nefasta conseguenza consistente nell'avvantaggiare i reprobi per antonomasia. Appunti comunque che, per quanto severi possano essere, non deviano mai dall'assunto base: da una parte c'è la follia, dall'altra la ragione. Da una parte la costruzione, dall'altra la distruzione.Sono tutti populisti. Un partito dichiaratamente di destra come l'Afd, che ha umiliato Angela Merkel nel suo stesso Land due giorni fa, e i greci rossi di Syriza. Partiti con decenni di storia sulle spalle come La Lega italiana o il Front National francese e formazioni quasi neonate come l'M5S da noi o lo stesso AfD. Un marxista cresciuto con i disobbedienti padovani come Pablo Iglesias e un mangiarossi come Donald Trump. È populista la Brexit, come lo è il referendum ungherese del prossimo 2 ottobre sull'accettare o meno le disposizioni Ue in materia d'immigrazione, ed è populista anche la campagna per il No al referendum italiano sulla riformetta costituzionale di Matteo Renzi.Sotto un mantello così ampio, quasi onnicomprensivo, mettere a fuoco i connotati del cosiddetto populismo diventa un'impresa ardua. Di certo non ha nulla a che vedere con una vicenda alta come quella del populismo russo ottocentesco e novecentesco di Plechanov, Aksel'rod e Vera Zasulic, a cui ha solo scippato il nome. Si configura piuttosto come una sorta di demagogia che fa leva sulla pancia del popolo, solleticandone i pregiudizi peggiori o lusingandone le speranze più irragionevoli per racimolare consensi. E' populismo illudere il popolo promettendo politiche diverse da quelle decise a Bruxelles e Berlino, così come lo è vellicare i suoi istinti peggiori proponendo muri contro gli immigrati.L'aspetto paradossale della campagna "anti-populista" è che spesso i problemi additati dai demagoghi sono gli stessi che il ragionevole establishment mette a propria volta nel mirino. Subito prima di approdare fortunosamente a palazzo Chigi, Renzi diceva sul rigore europeo cose non troppo diverse da quelle con cui lo mitragliava dal suo blog Grillo. In tema d'immigrazione la Babele europea rivela che gli umori in cui pescano "gli xenofobi" sono piuttosto diffusi anche nei palazzi comme il faut. In concreto il marchio d'infamia viene applicato dal coro solerte dei media non a chi denuncia problemi che spesso vengono indicati come tali anche dai politici al potere, ma a chi pretende di affrontare quei problemi al di fuori dell'establishment, revocando in dubbio le rigide regole del gioco fissate dall'establishment stesso.L'abuso del termine, in fondo, ha un precedente storico eminente: a lungo, e in parte ancora oggi, ogni forma di opposizione radicale è stata denunciata come "anarchica". Nel vocabolario del potere e dei media, l'anatema contro i populisti ha sostituito quello, altrettanto unanime e non meno generico, scagliato per un secolo contro "gli anarchici".Ma le parole hanno un senso, e spesso rivelano più di quanto non vorrebbero. Tacciare di anarchismo ogni forma di opposizione radicale al modello dato di Stato equivaleva a negare la possibilità di uno Stato e di un ordine diversi: o noi o "l'anarchia", intesa come il caos. Bollare col dovuto sprezzo come populista qualsiasi proposta politica che provenga dall'esterno dalle aree di potere politico ed economico date e che suggerisca formule esorbitanti dal perimetro angusto fissato dall'establishment, "i parametri", significa negare la possibilità che un progetto politico, poco importa se "di destra" o "di sinistra", "progressista" o "conservatore", possa essere partorito al di fuori delle aree di potere consolidate.Ma il parallelismo tra anarchismo e populismo è parziale e asimmetrico. La lunga crociata contro gli anarchic" era il riflesso di un conflitto nel quale il potere si sentiva minacciato dal fantasma di un ordine diverso delle cose e pertanto lo bollava, giocando in difesa, come puro disordine. Quella contro il "populismo" riverbera invece un'offensiva a tutto campo che mira a destituire di senso il concetto stesso di democrazia. A decidere devono essere le élites, perché solo le élites possono fare scelte ragionevoli e lungimiranti. Al di fuori delle élites c'è solo la pancia di una massa capace di dare ascolto solo alle pulsioni più miopi e immediate. Il popolo, appunto...