«È un processo alla politica». Mezz’ora dopo aver ricevuto dalla Guardia di Finanza la notifica della sua scarcerazione, l’ex governatore della Liguria Giovanni Toti affida i suoi pensieri a Facebook. E ribadisce il concetto che, sin dal 7 maggio, giorno in cui è finito ai domiciliari con l’accusa di corruzione, non ha mai smesso di ripetere: «Non ho mai intascato un centesimo dei liguri». Una prova di resistenza di fronte alle convinzioni - granitiche - della procura, del gip e del Riesame, che hanno sempre confermato l’impianto accusatorio. Continuando a farlo anche ieri, nell’ordinanza che ne ha disposto la scarcerazione. Dopo le dimissioni di venerdì scorso, la gip di Genova Paola Faggioni ha confermato che l’unica mossa da fare per riavere la libertà era rinunciare alla poltrona. Nonostante «permangano, in elevato grado, gravi indizi di colpevolezza, così come valutati nelle due originarie ordinanze applicative delle misure cautelari» e «l’estrema gravità delle condotte criminose - connessa anche alla particolare natura delle funzioni svolte», si legge nell’ordinanza, dal momento che Toti ha rassegnato le dimissioni lo scorso 26 luglio possono «considerarsi sensibilmente affievolite le esigenze cautelari poste a fondamento delle misure», anche alla luce dell’avvio verso la conclusione delle indagini. Un concetto che mercoledì era stata la stessa procura - che nel frattempo ha chiesto il giudizio immediato, sul quale Faggioni dovrà pronunciarsi entro oggi - a sottolineare, dando parere positivo alla richiesta dell’avvocato Stefano Savi: con le dimissioni, avevano affermato i pm, viene meno la possibilità di reiterare il reato.
«Non è una cosa piacevole sentirsi privati della propria libertà, soprattutto se si pensa di non aver fatto nulla di male», scandisce Toti davanti ai giornalisti nel primo giorno da uomo libero dopo tre mesi di domiciliari. Ai microfoni che lo hanno atteso tutto il giorno ha dedicato pochi minuti, dando appuntamento agli ex colleghi a Genova, dove forse già oggi terrà una conferenza stampa. Intanto, quello dell’ex governatore è un messaggio che ribadisce l’esigenza - già espressa nella sua lettera di dimissioni e nella precedente lettera affidata all’avvocato Savi - di ristabilire un nuovo equilibrio tra politica e giustizia. «Sono mancato per un po’, e soprattutto mi siete mancati tanto - scrive Toti sui social -. Ci difenderemo da ogni accusa, con la coscienza a posto di chi non ha mai intascato un centesimo dei liguri, ma lasciamo una Liguria più ricca: di lavoro, di opportunità, di speranze. Quello che è accaduto in questi tre mesi è un processo alla politica: ai finanziamenti, trasparenti e legali, agli atti, anch’essi legali e legittimi, che abbiamo ritenuto necessari e utili a far crescere la nostra terra», ha affermato l’ex governatore. Che fuori casa chiarisce la volontà di chiudere in fretta la partita processuale: «Non ci siamo opposti, né ci opporremo in alcun modo ad un processo rapido e veloce, perché siamo convinti di poter spiegare tutto quello che c’è».
Nel frattempo quello che sembra interessare di più all’ex governatore è una riflessione di natura politica. Se è vero, infatti, che quello dei finanziamenti e della loro liceità «sarà tema di confronto in tribunale», è chi fa le leggi a doversi porre la questione. Senza contare troppo su «coloro che non ritengono di usare opportunisticamente la giustizia a scopo politico. Mai come in questo caso l’autonomia della politica, la sovranità popolare, il suo finanziamento trasparente, la sua possibilità di indirizzare lo sviluppo e la crescita sono stati al centro del confronto tra la giustizia e il potere sovrano che discende dal popolo», sottolinea. Un concetto ribadito davanti al cancello della sua casa di Ameglia: «Credo che mai come adesso, e mai come in questa occasione, i problemi della giustizia e della politica si siano intersecati. Mi auguro che alla politica sia molto chiaro: quello che a Genova fa parte degli atti d’accusa è in realtà qualche cosa che è poco comprensibile a me - ha evidenziato -. Ci sono atti legittimi, ci sono finanziamenti legittimi, eppure messi insieme connotano, secondo la procura, qualcosa di criminoso. Questo mette in discussione l’autonomia della politica, sia per i finanziamenti, sia nella sua capacità di incidere sulla realtà».
Insomma, quello di Toti è più un messaggio alla sua categoria che alla magistratura. Che, appunto, interpreta le leggi che la politica fa. Ed è questo il tasto dolente, per un tema che più volte ha interessato la vita pubblica italiana. Il messaggio è anche rivolto alle opposizioni, che avrebbero guardato il dito e non la luna. «L’autonomia della politica, come quella della giustizia, dovrebbero essere un patrimonio di tutti. Difficile sperare consapevolezza da chi riempie le piazze di luglio (riempie, insomma…), festeggiando l’aiuto arrivato. Ho fiducia in chi crede nella democrazia liberale e spero colga queste vicende come un definitivo campanello che suona per ricordare l’inerzia di troppi anni - conclude Toti -. Mi sono dimesso, richiamando tutti voi al voto, perché ora tocca ai cittadini decidere invece la sorte della nostra terra: andare avanti con la Liguria protagonista che abbiamo costruito, o consegnarla alla cappa grigia dell’ipocrisia, della cultura del sospetto, dell’immobilismo, della doppia morale capace di oscurare già in questi giorni anche il fulgido sole di agosto. Sarebbe un futuro che, se possibile, appare già peggio del passato che ci siamo lasciati alle spalle. Viva la Liguria. Viva la libertà».
«Ci aspettavamo questo provvedimento e ritenevamo anche che fosse giusto che finalmente arrivasse - ha commentato Savi al Dubbio - Ora si tratta di riprendere per lui un ritmo di vita da uomo libero, pensare al processo e al futuro. Siamo contenti di poter fare un processo veloce, le ragioni le abbiamo, le cose da dire anche e credo sia meglio affrontare tutto subito anziché essere tenuti a bagnomaria per qualche anno prima di chiarire». Secondo la difesa, nel materiale raccolto dalla procura «ci sono accuse formulate in modo molto polarizzato rispetto ad alcuni soggetti e a tutta una serie di telefonate che sono state registrate. Proveremo a contestualizzare tutto questo per spiegare che i rapporti non erano solo con questi soggetti ma che intercorrevano anche con soggetti che avevano contribuito o non avevano contribuito, sotto il profilo economico, alla campagna elettorale o comunque al movimento di Toti e quindi deve essere data una lettura diversa». Così come meriterebbe una lettura diversa, secondo Savi, l’intervento fatto per accelerare la pratica portuale, «che non ha una rilevanza personale rispetto a un soggetto, ma una rilevanza nazionale, se non internazionale, quella che riguarda il futuro del porto di Genova e quindi della portualità quantomeno italiana». Insomma, sarà necessario ricostruire i rapporti e verificare se ci siano altre telefonate, oltre alle molte valorizzate dalla procura, che dimostrino la tesi della difesa. «Accettiamo la sfida di un processo veloce anche se di a fronte di un materiale poderoso proprio perché vogliamo al più presto difenderci», conclude il legale.