Non è solo un gesto di tregua verso la Lega. L’apertura di Fratelli d’Italia alla possibilità di un terzo mandato per i governatori — finora tabù per la coalizione — è una mossa politica calibrata da Giorgia Meloni per spostare il pallone nella metà campo del Partito Democratico. Un invito implicito a uscire allo scoperto su un tema che, più che dividere la maggioranza, rischia di spaccare l’opposizione. Se l’asse con Salvini viene puntellato, il fronte interno del centrodestra si ricompatta proprio su uno dei nodi più sensibili — la guida dei feudi regionali — mentre a sinistra si apre un fronte tutto da gestire: quello degli amministratori locali.

Difficile leggere diversamente l’improvvisa accelerazione sul terzo mandato, giunta dopo mesi di freddezza da parte di FdI e atti ufficiali come l'impugnazione, da parte del governo, della legge regionale della Campania e provinciale di Trento. Il segnale appare dunque interpretabile nel seguente modo: la premier ha deciso di concedere qualcosa alla Lega, e di farlo su un terreno che ha sempre suscitato tensioni tra gli alleati. Per Salvini, che ha nei presidenti del Nord il suo zoccolo duro, si tratta di un passo decisivo. «Ogni scelta va fatta in fretta perché è giusto che la gente sappia», ha detto il leader del Carroccio, spalancando le porte a un’intesa da blindare prima dell’autunno.

Il tempo stringe: le Regionali incombono, e senza un cambio delle regole Luca Zaia e Massimiliano Fedriga non potranno ricandidarsi. Per Salvini, perdere Veneto e Friuli — e magari anche la Lombardia in prospettiva — equivarrebbe a smarrire “la ragione sociale”, come ha osservato con cinismo Vincenzo De Luca. Proprio il governatore della Campania, da tempo in guerra con la linea Schlein, ha colto al volo la valenza strategica del gesto meloniano: «Se la Lega perde Veneto e Lombardia, non ha più senso di esistere. Meloni è stata intelligente, così evita che il centrodestra si laceri sulle Regioni. E se vogliono, la riforma la fanno domattina. Non credo che il Parlamento abbia potere frenante», ha detto da Salerno, lanciando un messaggio nemmeno troppo implicito alla segretaria dem. Perché è qui che la partita si fa interessante.

Se il centrodestra trova una sintesi sulla riforma, sarà il Pd a dover decidere se seguirlo o impallinare la norma in aula. In quel caso, il rischio è di alimentare una faglia già esistente tra la segreteria e i territori. Sindaci e governatori — soprattutto al Sud — vedono con favore un allentamento del vincolo dei due mandati. Prolungare il ciclo amministrativo, dicono, serve a portare a termine le trasformazioni. Una linea che però cozza con l’immagine di "partito del rinnovamento" su cui Schlein ha costruito la sua leadership.

Zaia ha provato a smontare il sospetto di una legge ad personam: «Non è una norma pensata per me o per Fedriga. Si tratta di sanare una contraddizione: oggi alcune Regioni possono rieleggere i governatori all’infinito, altre no. È il momento di fare chiarezza», ha scritto su Facebook. Il messaggio è trasversale, e punta dritto alla platea bipartisan degli amministratori. Nel frattempo, Meloni incassa. Se la riforma si farà veramente, offrirà a Salvini una vittoria a costo zero. Se il Pd si divide, il fronte dell’opposizione esce indebolito e la premier guadagna margine. Una doppia mossa, per silenziare i mugugni nel centrodestra e mettere in difficoltà i democratici. Non male per una legge di cui FdI si era sempre detto poco convinto.