«Si è detto che il Veneto autorizzerà il fine vita. Oggi noi non autorizziamo un bel niente. Questo progetto di legge introduce dei tempi e il ruolo della sanità». Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha fatto un discorso perfetto durante il consiglio regionale di oggi. Il pretesto è la discussione della proposta di legge di iniziativa popolare “Liberi Subito” redatta dall’Associazione Luca Coscioni e firmata da più di novemila cittadini.

A cosa serve questa legge? Non ad aggiungere diritti ma a garantire tempi e procedure certi per un diritto che esiste già e che è stato stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale 242, la cosiddetta Cappato-Antoniani. Come dice Zaia, appunto.

Quella sentenza ha deciso che l’aiuto al suicidio non è più un reato in determinate condizioni, cioè la Corte ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”, ma non ha dato un tempo entro cui il servizio sanitario ha il dovere di rispondere.

Ecco perché molte persone sono state costrette ad aspettare mesi e mesi per la verifica delle condizioni, cioè per avere una risposta. È ovvio che se ho un diritto ma quel diritto viene diluito in un tempo indefinito, quel mio diritto è fragile, imperfetto, in balìa delle circostanze e di chi deve risponderti. E se ho una malattia terminale, il tempo è un ingrediente ancora più importante.

«Tra chi ascolta ci sono anche cittadini, malati terminali, con idee diverse. Per quel che mi riguarda [..] avrò l’accortezza di pesare le parole. La condizione del malato è quella che mi interessa di più». La posizione sull’argomento di Zaia non è una novità. Ma tutto quello che poi Zaia dice potrebbe valere per qualsiasi altra discussione. A cominciare dalla premessa che dovrebbe essere ovvia ma che spesso si trascura per pigrizia o per malafede. «Io sono andato a leggere il progetto di legge».

È in effetti una buona abitudine leggere ciò che si commenta, ma siamo talmente abituati alla sciatteria che pare un miracolo. E soltanto ieri il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari ha detto che la legge regionale sarebbe il risultato di una interpretazione scorretta della sentenza 242 perché quella sentenza non prevede alcun obbligo ma solo la non punibilità. Non serve essere costituzionalisti per contestarlo, basterebbe leggere per scoprire che la 242 prevede le modalità della verifica delle quattro condizioni e l’affida al servizio sanitario nazionale. Rimanda anche alla legge 219 sulle disposizioni anticipate e sul consenso informato (sarebbe utile leggere anche questa, niente di lungo né di particolarmente complicato – virtù che la 219 condivide con la 242).

Non solo. «È doveroso che questo consiglio oggi dia quantomeno idea che si rispettano anche le idee degli altri». Al riguardo è forse utile ricordare che è la libertà a garantire maggiormente questo rispetto, perché quando esiste un diritto nessuno è obbligato a esercitarlo. Se invece c’è un divieto, siamo costretti a non fare ciò che è vietato (a meno che non si decida di compiere un reato o una disobbedienza civile).

Zaia spiega di aver deciso di intervenire anche per la confusione mediatica, «per quella ipocrisia serpeggiante che spesso viene diffusa su temi come questi». Per una «operazione verità». Zaia poi ricorda la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento («forse a qualcuno sono sfuggiti dei passaggi»), Eluana Englaro, i diritti inviolabili e ci insegna come si dovrebbe discutere pubblicamente.

«Ho letto di tutto sui giornali», dice mentre io rischio di slogarmi il collo a forza di annuire. E ricorda cosa gli era successo durante il Covid, quando aveva detto che non si sarebbe vaccinato prima dei fragili e che, per un taglio dispettoso («no che non mi vaccino»), aveva causato scandali e inutili discussioni.

Ma questa proposta di legge è semplice se si ha voglia di leggere. E se non la si ha, si può sempre dire non lo so oppure non commentare. «I nostri sanitari e comitati etici sono chiamati a rispondere in virtù della sentenza 242». Quello che cambia è che, se approvata, devono farlo entro 20 giorni e non quando si ricordano.

«Siamo qui per esercitare un diritto inviolabile della democrazia». Indipendentemente da come la pensiate sul suicidio assistito, e anche se non ne pensate nulla, vi consiglio di ascoltare il discorso integrale di Luca Zaia perché, come ho già detto, vale per tutto, dalla legge di bilancio alle risse sui social (qui dal minuto 42.30 circa).

La proposta non passa e viene rinviata in commissione. Rimangono il bellissimo discorso di Zaia e la sentenza 242, naturalmente. Su questi il consiglio regionale non può votare.