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Per i “populisti- sovranisti” la campagna elettorale europea non è stata la “madre di tutte le battaglie”, come promettevano alla vigilia della competizione. A conti fatti, da quel che si è visto ( e soprattutto udito), essa è stata la prova dell’assenza di una prospettiva e di una strategia politicamente praticabili. Né il il populismo né il sovranismo, in salsa italiana piuttosto che francese, tedesca, ungherese, belga o olandese - per non parlare di quella ancor più indigesta della britannica - hanno offerto un’immagine dell’Europa in grado di attrarre consensi consapevoli ( di quelli inconsapevoli ne avranno certamente in abbondanza più per demeriti degli avversari, come accadrà in Gran Bretagna, che per meriti propri), concentrandosi piuttosto sulle beghe nazionali e lasciando sullo sfondo i problemi posti dall’indiscutibile disfacimento dell’Unione.
Tanto per esemplificare, in Italia la “guerra” tra Salvini e Di Maio ha oscurato le tematiche europee, così come in Francia la contesa tra Macron e Le Pen, in Spagna tra Sánchez e tutti gli altri, nei Paesi scandinavi tra conservatori e “destristi” non facilmente definibili, e via elencando.
La prevalenza della politica del cortile di casa ha fatto chiedere agli elettori se il voto europeo non fosse il pretesto per un regolamento di conti interno. Con la differenza, però, che oggi l’Europa, complice la grave crisi economica e sociale, è l’epicentro di conflitti planetari i cui esiti sono assolutamente indecifrabili, tranne la visione della sua marginalità geopolitica.
È questo il tema che è stato abbandonato dai sovranisti, mentre i populisti ( la differenza non sembri questione di lana caprina) non l’hanno mai preso in considerazione, limitandosi ad agitare pulsioni vetero- classiste e a decantare “magnifiche sorti e progressive” riferite alla decrescita felice.
Insomma, nel fronte che avrebbe dovuto offrire un’idea dell’Europa diversa da quella che è fallita, non s’è levata una sola voce in grado di far intravedere un’alternativa concreta. Di più, dell’Europa ci si è semplicemente è pericolosamente dimenticati.
Come dell’euro, del resto. Non era un cavallo di battaglia del populismo- sovranista la sua fine? Gli ideologi della miseria programmata ci hanno costruito le loro fortune ed al momento buono hanno lasciato cadere quella che era la promessa più allettante della loro propaganda, resisi conto dell’impossibilità di praticare un’idiozia del genere.
Poi della cosiddetta “internazionale sovranista” che cosa ne è stato? Un ossimoro politico non poteva avere fortuna. E difatti, di fronte agli egoismi nazionali ( più o meno “sacri” non sapremmo), la stravagante ipotesi è caduta scontrandosi con la questione dell’accoglienza e dello smistamento degli immigrati, delle politiche agricole, di quelle securitarie, per non parlare delle questioni morali afferenti alle concezioni diverse nel concepire la famiglia da parte degli stessi movimenti occasionalmente e strumentalmente alleati in difesa dell’identità europea ( quasi mai precisata dagli stessi, oltretutto). Come fanno, insomma, a stare insieme, magari su un palco milanese abortisti e pro- life, laicisti e cattolici sfidanti un bigottismo pop con l’esibizione di un Rosario che dovrebbe servire a ben altro...
Un’internazionale che la si presenta così coesa da essere in realtà diluita in almeno in tre gruppi al Parlamento di Strasburgo: quello dell’Europa delle nazioni ( lepenisti- salviniani), quello dei conservatori e riformisti ( Meloni ed i polacchi del Pis tra gli altri), quello dei popolari ( Orbán). Senza contare gli incerti e i “non iscritti”, alla ricerca di una casa, da Nigel Farage probabile trionfatore che si godrà il successo per pochi mesi, il tempo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione ed il conseguente ritorno a casa dei suoi deputati, al M5S, ai greci di Alba dorata. Tutti appassionatamente contro “questa” Europa, ma incapaci di trovare un comune denominatore semplicemente perché non esiste.
Verrebbe da dire che la sovranità è una cosa talmente seria per lasciarla nelle mani di chi si è autoproclamato “sovranista” in una stagione confusa della politica europea. Se il tutto, come sospettiamo, si riduce alla questione dell’immigrazione, c’è da temere che la bolla anti- europea scoppi prima di quanto si possa immaginare.
La crisi della globalizzazione, le insufficienze del neo- liberismo, l’emersione di un colonialismo aggressivo e rapace soprattutto in Africa e temerario al punto di coinvolgere l’Europa imporrebbero una riflessione sulla sovranità continentale non disgiunta da quella sulle sovranità nazionali. Ma questa è roba per politici, non per politicanti. Con buona pace proprio di quei populisti- sovranisti che hanno individuato in un curioso personaggio americano, tale Steve Bannon, il loro guru e si sono affiliati al suo “The Movement”, sedicente centro propulsivo di una nuova idea dell’’ Europa. Un americano a Roma, a Parigi, a Berlino, a Vienna... per costruire un’altra Europa. Quello che ci voleva: un’Europa americana. Abbiamo l’impressione che sarà per un’altra volta.