Sinistra italiana non è ancora un partito, è solo una sigla per la stampa, utile a identificare quell’aggregazione di pezzi della sinistra che racchiude Sel e i transfughi del Pd con l’aggiunta saltuaria di quel che rimane di Rifondazione Comunista e dell’Altra Europa. Un agglomerato di persone, più che un progetto politico, che dopo le Amministrative rischia di sfaldarsi. Troppo modesti i risultati di Stefano Fassina a Roma (il 4,5 per cento) e di Giorgio Airaudo a Torino (il 3,7 per cento) per non far saltare i nervi a chi, fin dal principio, avrebbe preferito una linea più dialogante col Pd. Nella Capitale lo scontro è molto acceso. Da una parte l’ex sottosegretario all’Economia del governo Letta, rappresentante della corrente più intransigente, e dall’altra gran parte degli amministratori locali Sel che hanno in Massimiliano Smeriglio (vice di Nicola Zingaretti in Regione) il loro più autorevole esponente. Nel mezzo, una selva di posizioni attendiste. Il nodo della questione riguarda i ballottaggi. Fassina si ostina a chiudere le porte a Roberto Giachetti: «vuole tornare alla Roma degli anni duemila, che per noi è stata l’origine dei problemi odierni. Virginia Raggi parla di onestà, ma non la collega alla giustizia sociale. Per questi motivi non ci sono le condizioni per convergere su nessuno dei due candidati. Ci riuniremo come Sinistra italiana, ma siamo orientati a votare scheda bianca», ha dichiarato due giorni fa ad Agorà l’ex candidato sindaco. Ma la linea dell’equidistanza non va proprio giù a Smeriglio, che a brutto muso ha ribattuto: «La mia distanza da M5S è siderale sul piano dei valori. Ma è chiaro che Renzi, con la sua linea miope, rischia di consegnare città importanti ai populismi e alla xenofobia. Di fronte a questo, “Si” balbetta sulle partite ancora aperte: a Milano e Bologna daremo un contributo alla tenuta democratica e repubblicana contro la Lega o no? E cosa pensiamo della vittoria del nostro Zedda a Cagliari: la sua straordinaria affermazione con un centrosinistra che batte sul campo l’opzione del Pd solitario di Renzi ha valore per noi? ». Chi rompe definitivamente gli indugi con una dichiarazione esplicita di voto è invece Claudio Fava, deputato di Sinistra italiana e vicepresidente della Commissione Antimafia: «Tra dieci giorni si voterà per il sindaco di Roma. E io voterò Roberto Giachetti. Non mi sento equidistante dai due candidati al ballottaggio e non credo nel rimedio aristocratico della scheda bianca. Questa città pretende uno scatto di responsabilità: che in politica vuol dire anche metterci la faccia», ha scritto su Facebook Fava svincolandosi definitivamente da Fassina. «Lo dico da uomo di sinistra. Una sinistra in cui taluni preferiscono definirsi per sottrazione rispetto al Pd, si ingegnano di applaudire la notte del voto il presunto sorpasso della Meloni su Giachetti, pensano di costruire la propria identità sulle sconfitte altrui. Io non ne sono capace. E punire Roma con un cattivo voto pur di dare un dispiacere a Renzi mi sembra una scelta adolescenziale», attacca il deputato di Si.E in attesa di conoscere la linea ufficiale di Sel sulla questione, una parte del partito ha già avviato le trattative con Giachetti. Non per il Campidoglio, ma per i Municipi, dove si giocheranno i ballottaggi per l’elezione dei “mini-sindaci”. Se il Pd fosse disponibile a concedere qualche “mini-assessorato” a Sel, Giachetti riceverebbe in cambio l’endorsement di alcuni esponenti “vendoliani” di peso. Il tutto con o senza l’assenso di Stefano Fassina. Perché sono troppi gli amministratori locali rimasti a casa che adesso chiedono la testa dell’ex sottosegretario. E per dare un segnale all’ex candidato sindaco, che adesso vuole fare il consigliere e il deputato contemporaneamente, nessuno dei big romani si è presentato ieri all’incontro organizzato da Fassina per fare il punto della situazione. In ballo non c’è solo Roma ma il futuro stesso di Sinistra italiana, che con queste premesse potrebbe non veder mai la luce.