Dal punto di vista procedurale, ha ragione Ettore Rosato, capogruppo pd: «Non si cambia una legge con una mozione». Dal punto di vista politico, invece, è difficile allontanare la sensazione che si tratti di una mina piazzata sul percorso che porta al referendum costituzionale di ottobre: in sostanza una mossa per stanare Matteo Renzi (ma non solo lui) sul terreno più ostico. Resta che la mozione di Sel sull’Italicum, calendarizzata per inizio settembre alla Camera, sembrerebbe fatta apposta per far riaprire le danze sul meccanismo elettorale che dal primo luglio entrerà definitivamente in vigore: ossia la riforma che prevede il ballottaggio tra i due partiti maggiormente votati, nel caso in cui nessuno raggiunga il 40 per cento dei consensi al primo turno.È tutto tranne che una questione di arzigogoli per la ripartizione dei seggi: al contrario, non solo la legge elettorale rappresenta una sorta di vivere o morire per la stragrande maggioranza della forze politiche, ma negli ultimi mesi ha assunto un valore decisivo anche e soprattutto riguardo al risultato della consultazione popolare sulla modifica della Costituizione.Una delle maggiori critiche rivolte a Renzi non solo dalla sinistra pd, dal centro-destra e dai grillini bensì anche da frotte di costituzionalisti, è infatti di aver realizzato una sorta di monstrum nel combinato disposto di nuovo Senato e Italicum: uno sbilanciamento del potere tutto a favore di un solo partito, che con poco più di un quarto dei votanti acchiappa il 55 per cento dei seggi a Montecitorio; e, di conseguenza, pure di un solo leader che in virtù della designazione coercitiva dei parlamentari di fatto fa eleggere i più fedeli al Capo. Con tanti saluti, dunque, alla tutela della rappresentanza popolare e della scelta dei parlamentari da parte degli elettori al posto delle segreterie dei partiti. Esattamente le due principali critiche alla riforma sulle quali la Corte Costituzionale si esprimerà verosimilmente prima che il referendum si celebri.La mozione di Sel, non a caso, punta a impegnare la Camera - l’unico ramo del Parlamento per il quale l’Italicum vale - a cancellare dalla nuova disciplina elettorale «tutti gli evidenti profili di incostituzionalità che, ad avviso dei firmatari, con ogni probabilità porteranno ad una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale da parte della Consulta» dopo quella che ha affondato il Porcellum.Tuttavia è chiaro come non sia il burocratese di Palazzo l’aspetto principale della vicenda quanto, come detto, la sua valenza politica. Nel momento in cui la mozione approderà in aula, infatti, il governo (e potrebbe essere lo stesso ministro Boschi a farlo) dovrà pronunciarsi sulla possibilità di rimettere mano all’Italicum oppure optare per lasciarlo così com’è, rimettendosi al giudizio della Corte. E poiché la spinta a modificare la legge elettorale proviene da un arco vasto e composito di forze, e perfino da settori renziani viene considerata mossa ottimale per eliminare dubbi e perplessità più o meno strumentali e spianare così la strada alla vittoria del Sì, si capisce che il passaggio diventa discriminante. Finora, in verità, di fronte al pressing variamente dislocato Renzi ha sempre fatto muro. E si capisce perché. Pur con tutti i suoi difetti, agli occhi del premier l’Italicum ha un vantaggio fondamentale: bipolarizza il sistema, in certo senso “costringendo”, con il ballottaggio, uno dei due scheramenti a vincere. Esaltando in tal modo la “vocazione maggioritaria” del Pd ma anche garantendo la stabilità di governo. Il rischio però è che il vento dell’antipolitica faccia vincere non il Pd bensì i Cinquestelle. Che pure ufficialmente contro l’Italicum si battono ma che al contrario secondo alcuni malevoli, sotto sotto gradiscono assai che la legge elettorale resti così com’è. A settembre, in aula a Montecitorio, tutti i partiti dovranno esprimersi: sarà una specie di momento della verità per il governo, per le forze politiche che lo sorreggono - non è certo un mistero che l’Ncd preferisca spostare il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione - e per l’opposizione. Naturalmente è un passaggio che risulta particolarmente delicato per il Pd perché potrebbe evidenziare la spaccatura con la sinistra interna. Un assaggio della quale è presumibile si verifichi già lunedì nella Direzione: platea che nel giudizio corrosivo di Massimo D’Alema è soprattutto un insieme di supporter del premier.Se Rosato stoppa i retroscena, Renzi, almeno per il momento, evita proprio ogni riferimento all’Italicum preferendo concentrarsi sul referendum costituzionale: «Chi scommette sul fallimento ha tutto da guadagnare dall’ingovernabilità e dalla palude», scrive nella sua e-news il presidente del Consiglio mettendo nel mirino i grillini. Senza comunque arretrare di un millimetro su quanto già annunciato: «E’ banale, normale, fisiologico che nel caso in cui dovessi perdere questo referendum ne trarrei le conseguenze anche a livello personale». Soltanto in Italia, accusa il capo del governo, «c’è il principio che i politici che perdono rimangono lì e continuano per 50 anni a fare carriera politica: non è così nel resto del mondo». Ecco perché «questo elemento di novità profondo che noi abbiamo inserito è stato immediatamente preso e utilizzato per personalizzare lo scontro». Al contrario, per Renzi sarebbe opportuno «che si discutesse nel merito del referendum: se vince il Sì l’Italia non ha più il bicameralismo paritario ma una sola Camera dà la fiducia come succede nel resto d’Europa». Il premier è pronto a salire sulle barricate: «Non sarà la riforma più bella del mondo. Ma è giusta, utile e funziona. Assicura stabilità all’Italia. Riduce il numero dei politici ma aumenta il valore della politica. I professionisti della politica sicuramente non gradiranno questo cambiamento. Se buttiamo via questa occasione per anni ci terremo il sistema politico più costoso e meno efficiente dell’Occidente. Cambiare adesso è un dovere». Vale anche per l’Italicum, o no?