Chissà se Matteo Salvini, nei prossimi giorni, si smarcherà da Giorgia Meloni anche sullo spinoso tema delle celebrazioni del 25 aprile. Una sorta di spina nel fianco per la premier, che verosimilmente accompagnerà con polemiche periodiche tutta l'avventura dell'attuale governo, come si è visto l'anno scorso quando tutti gli esponenti più importanti di FdI sono stati incalzati dall'opposizione e dai media sulla loro eventuale partecipazione alle commemorazioni della Liberazione dal nazifascismo e della più ampia questione dell'antifascismo. Dodici mesi fa il leader leghista diede manforte alla presidente del Consiglio e ai colonnelli di FdI in difficoltà ( soprattutto Ignazio La Russa e Francesco Lollobrigida) affermando che avrebbe passato il 25 aprile «lavorando». Un modo edulcorato per dire che il presenziare a celebrazioni istituzionali non era esattamente in cima ai suoi pensieri. Toccò all'altro vicepremier, Antonio Tajani, assicurare una presenza autorevole di esponenti dell'esecutivo a quella che rimane una delle festività più divisive della nostra Repubblica, pur commemorando la fine della dittatura e la nascita della democrazia.

Ma qualcosa sta cambiando dentro la Lega, ed è un dato che non appartiene più ai retroscena o ai boatos di Palazzo ma alle cronache politiche e ormai anche ai tabulati dei voti parlamentari. Nell'economia dei posizionamenti pre- elettorali che stanno assumendo i leader del centrodestra, quello che è accaduto sull'ordine del giorno del Pd contro la presenza delle associazioni pro- life nei consultori previsti dalla legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza ha del clamoroso: il partito di Salvini, del presidente della Camera Lorenzo Fontana e dell'ex- senatore Simone Pillon, che in passato aveva aderito a eventi delle associazioni cattoliche più conservatrici e intransigenti, ha contato 15 astensioni nelle proprie fila su un atto decisamente critico nei confronti della premier.

Ma ciò che più conta sono le parole con cui il leader leghista ha accompagnato la decisione di lasciare libertà di coscienza ai suoi, affermando che «sull'aborto la scelta deve essere sempre della donna». Una rivoluzione copernicana, impressa verosimilmente per avvertire l'alleata su altri dossier caldi come l'Autonomia o il Ponte di Messina, ma che non manca di avere anche una motivazione interna, con vista sul congresso annunciato per l'autunno. A cavallo del quarantennale del partito, hanno abbondato i paragoni tra la Lega Nord bossiana delle origini e Lega nazionale salviniana, con tanto di critiche aspre del senatur all'attuale segretario. Sulla “fronda” interna e conclamata dei nordisti è inutile soffermarsi di nuovo, se non per aggiungere che una delle caratteristiche di quel partito, rimpianta non meno dell'impostazione federalista, è la vocazione laica e dichiaratamente antifascista che il Carroccio di Bossi aveva.

Anzi, della vecchia Lega restano numerose polemiche con la gerarchia ecclesiastica e le parole del fondatore, che definì i suoi militanti «fieramente antifascisti» ed eredi dei partigiani, settentrionali nella stragrande maggioranza. Un retaggio di questa impostazione è possibile trovarlo nella recente decisione del governatore veneto Luca Zaia di promuovere una legge sul fine vita, che però è stata disconosciuta dallo stesso Salvini e affossata dalla maggioranza in Consiglio regionale, con l'aiuto dell'ala cattolica del Pd. Ebbene, è lecito ora interrogarsi su quale input sarebbe arrivato da via Bellerio se quella votazione si fosse svolta ora, col ministro delle Infrastrutture accerchiato anche da parlamentari leali ( vedi Gian Marco Centinaio) che gli contestano scelte come quelle di candidare il generale Vannacci, dal quale il leader leghista ha voluto ( o dovuto) marcare una differenza rispetto alle considerazioni espresse per gli omosessuali, che peraltro il militare rettifica nel suo secondo libro, forse con l'intento di sgomberare polemiche in vista della candidatura.

Al netto delle questioni interne, resta sul tavolo per questa fase il rischio per Giorgia Meloni di un Vietnam parlamentare orchestrato dalla Lega, nel caso l'inquilina di Palazzo Chigi non si adoperasse per far rispettare ai suoi e a Forza Italia il patto politico dei leader siglato a inizio legislatura su premierato e autonomia, che inizialmente prevedeva l'approvazione di quest'ultima entro le Europee e che già è stato aggiornato al ribasso, non escludendo uno slittamento a maggio. Una trama intricata di scadenze, rassicurazioni e diffidenze a cui potrebbero aver accennato i diretti interessati ieri pomeriggio, a margine del comizio conclusivo della campagna elettorale lucana del centrodestra.