PHOTO
Roberto Vannacci durante il voto per l’elezione del presidente della Commissione europea nell’aula del Parlamento europeo a Strasburgo, Giovedì, 18 Luglio 2024 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Roberto Vannacci during the vote for the election of the President of the European Commission in the hall of the European Parliament in Strasbourg, Thursday, July 18, 2024 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Lo si ammetta, non capita tutti i giorni di vedere un esponente storico della sinistra Pd come Gianni Cuperlo complimentarsi con un ex missino - oggi fratello d'Italia - per le sue posizioni antirazziste in diretta tv. Chiunque, un paio di sere fa, fosse fronte al teleschermo durante la puntata quotidiana di” In Onda” ha potuto notare un attimo di sincero ma anche compiaciuto stupore negli occhi di Cuperlo mentre ascoltava Massimo Magliaro esaltare gli immigrati di seconda generazione come Paola Egonu, a maggior ragione in quanto «noi siamo un popolo di immigrazione».
Non si sta parlando di un giovane meloniano di quelli che la cultura del Msi la hanno conosciuta solo per sentito dire. Magliaro è stato per 13 anni, dal 1977 al 1990, capo Ufficio stampa del Msi di Giorgio Almirante. Non è facile neppure scoprire che una testata di opposizione al governo Meloni come l'Huffington Post può entusiasmarsi per le parole di un dirigente di primissimo piano di Fi proveniente però anche lui dal Msi di Almirante e poi dalla An di Fini come Maurizio Gasparri. La "strepitosa risposta" dell'azzurro, come la definisce nel titolo l'Huffpost, al solito generale Vannacci era stata in effetti fulminante e definitiva: «Ci vuole l'innegabile talento di Vannacci per criticare Paola Egonu nel giorno del trionfo olimpico delle nostre atlete di pallavolo. Si atteggia a De Gobineau de noantri (se lo ignora può consultare Wikipedia, fonte di apprendimento alla sua portata)». E scusate se è poco.
Non tace neppure il ministro Lollobrigida, quello che si era attirato un diluvio di critiche per la sua infelice uscita sulla "sostituzione etnica" e va da sé che dovendo lavare quella macchia si allarga anche più dei colleghi: «Triste è il mondo di chi vede bianco e nero. Noi vediamo delle nostre atlete e dei nostri atleti solo il loro splendido colore azzurro». C'è del calcolo in queste dichiarazioni compiutamente antirazziste? Certo. Però non c'è solo questo. Si percepisce uno slittamento significativo della visione politico-culturale.
Non molti anni fa l'approccio della destra, guidata allora dal "moderato" Silvio, era ben diverso. Bossi se la prendeva dai palchi con "i bingo bongo". Calderoli, si proclamava pronto a distribuire cesoie gratuitamente per evirare gli immigrati "stupratori" e definiva nei comizi l'allora ministra Kyenge «un orango». Lo stesso Berlusconi ironizzava sul presidente Obama "abbronzato". Il cambiamento c'è, forse non ancora completato ma irreversibile. La visione colma di pregiudizi che era ieri diffusa ovunque a destra è oggi appannaggio di poche figure come Vannacci e qualche leghista: ultimi giapponesi rimasti a combattere nella giungla.
Non si può dire che tutta la sinistra abbia accolto negli ultimi giorni il palese segnato in buona parte innescato dal "Fattore Egonu" con la classe di Cuperlo. Le polemiche sul post di Bruno Vespa su X sono da questo punto di vista desolanti. Il giornalista aveva definito Egonu e Myriam Sylla «brave, nere, italiane: esempio di integrazione vincente». E' stato subissato da un coro di attacchi per aver «sottolineato il colore della pelle» e per aver parlato di integrazione a proposito di atlete nate in Italia e a tutti gli effetti italiane.
Vespa ha avuto gioco facile nel replicare ma l’intento antirazzista del suo post era evidente, senza bisogno di delucidazioni e le reazioni un po' scomposte rivelano solo con quanta difficoltà la sinistra accoglierebbe e in realtà già accoglie una torsione nell'approccio di una destra che deve essere per definizione "fascistoide", dunque razzista. Non è più così e per certi versi anche l'approccio al nodo centrale in tutto l'Occidente dell'immigrazione non è più quello truculento e propagandistico del "blocco navale".
Quali saranno gli esiti della strategia "africana" di Meloni, del suo "Piano Mattei", è più che incerto. Però non si capisce come si possano esaltare Keir Starmer, Kamala Harris, la maggioranza europea che ha rieletto von der Leyen e poi tacciare di razzismo una posizione che somiglia come una goccia d'acqua a quelle dei suddetti.
Non significa che le differenze tra destra e sinistra siano scomparse e neppure che si siano attenuate. Permangono in molte scelte concrete, prima tra tutte le difesa di quella legge disastrosa che è la Bossi-Fini, e anche sul terreno dei valori identitari si stanno semplicemente spostando su altri terreni, quello del gender, come proprio le Olimpiadi concluse ieri hanno per più versi segnalato, e quello del Green Deal, che marca oggi la divisione tra destra e sinistra in Europa quanto e forse persino più dell'immigrazione. Però lo spostamento dei luoghi comuni della destra sul razzismo indica la possibilità di superare almeno in parte una concezione della politica intesa come guerra di religione. Converrebbe coglierla.