Dopo la nuova ondata di espulsioni in casa pentastellata, la tenuta della maggioranza al Senato è appesa a soli quattro voti di vantaggio. Ma nel quartier generale a Cinque Stelle non c’è preoccupazione. «I margini sono ora più ristretti – ammette il capogruppo del Movimento a palazzo Madama, Stefano Patuanelli. Ma non si può pensare di derogare ai principi in nome della convenienza politica. A prescindere dai numeri – prosegue l’esponente grillino - chi non si comporta in un certo modo non può restare nel Movimento».

Il chiaro riferimento è alle proteste di Gregorio De Falco, che dopo l’allontanamento ha lamentato l’assenza di democrazia interna e ha rivendicato per sé le prerogative che la Costituzione garantisce ai parlamentari che intendono votare in dissenso dal proprio gruppo. L’auspicio del comandante, già eroe nazionale ai tempi della Concordia, è ancora quello di un ripensamento. Ma il senatore grillino Gianluca Ferrara non ha risparmiato strali acuminati contro gli espulsi. Il grillino si dice «deluso dai comportamenti assunti da alcuni miei colleghi al Senato», e aggiunge che chi li difende «sostenendo che il diritto al dissenso è legittimo, dico che quest'ultimo, nella fattispecie, non c'entra nulla», perché nel loro caso si tratterebbe solo di «dissenso distruttivo». «Purtroppo – conclude durissimo Ferrara - diversi presunti dissenzienti sono in realtà solo professionisti del dissenso, vale a dire lo usano per poter far emergere il proprio ego. Ma per fare politica con il M5s serve avere l'umiltà di colui che vuole fare squadra».

Di fronte alla richiesta di una possibile resipiscenza invocata da De Falco, anche i vertici escludono ogni possibilità di tornare sui propri passi. «Non è un mistero – spiega Patuanelli - che il decreto sicurezza non fosse nelle corde del Movimento, ma è altrettanto vero che si è trattato di un caso isolato». I vertici grillini rivendicano dunque la centralità del progetto complessivo che li ha portati al governo, più che i singoli provvedimenti ostici ad alcuni. «Dei colleghi che avevano manifestato perplessità nel merito del provvedimento sugli immigrati e poi non l’hanno votato – sottolinea Patuanelli - soltanto uno del resto è stato espulso. Il problema è che il voto contrario alle indicazioni del gruppo è stato in qualche caso reiterato. Per il resto, dal taglio dei vitalizi e delle pensioni al decreto Genova, in questi sei mesi di governo il M5s ha vinto battaglie importanti che meritavano sempre il supporto compatto di tutto il gruppo».

A fronte delle espulsioni, che in casa stellata vengono dunque reputate come inevitabili, resta però il problema dei numeri ballerini che potrebbero insidiare la tenuta del governo. Ma dal Movimento arrivano parole che sembrano una chiara apertura a Fratelli d’Italia, il cui supporto non sembra essere considerato un tabù.

«Nella scorsa legislatura – osserva ancora Stefano Patuanelli - il M5S ha votato con la maggioranza di centrosinistra i provvedimenti che riteneva necessari per il Paese. E lo stesso avrebbe fatto se avesse governato il centrodestra. Allo stesso modo, se altre forze politiche percepiscono la bontà dei nostri provvedimenti, ben vengano i loro voti. Stare in maggioranza però è un altro paio di maniche.

Ma non c’è nessun tabù verso Fratelli d’Italia né verso nessun’altra forza politica». Il nuovo anno potrebbe dunque modificare gli equilibri della maggioranza giallo- verde, così come l’abbiamo conosciuta finora. Ma il 2019 potrebbe segnare anche una svolta nel ruolo risicato che il governo giallo- verde ha finora assegnato al Parlamento. Decisive in questo caso le dure parole che il presidente della Repubblica ha voluto indirizzare a Lega e M5s, colpevoli di aver approvato la manovra alla cieca, e con la fiducia dopo l’estenuante trattativa con Bruxelles.

«Finora – commenta il capogruppo del M5s al Senato - ci siamo trovati nella condizione di approvare molti decreti, nel tentativo di porre rimedio alla difficile eredità che ci hanno consegnato i governi precedenti. Ma sono convinto che nei prossimi mesi il Parlamento sarà al centro dell’azione politica della maggioranza». Le parole con cui Matteo Salvini ha accolto il taglio agli stipendi dei parlamentari annunciati da Di Maio e Di Battista nella diretta Facebook del primo dell’anno, non lasciano però il Movimento del tutto sereno.

Il leader della Lega sembra infatti snobbare le forbici che il Movimento ha intenzione di impugnare, perché convinto che prima si debba procedere a misure più concrete come l’ampliamento della flat tax, la sburocratizzazione, la riforma del codice degli Appalti e il taglio delle tasse per le imprese. Ma sul punto la replica del Movimento è piuttosto gentile, quanto ferma. «Da padre di tre bambini – puntualizza Stefano Patuanelli - ritengo che non ci sia niente di più concreto dell’esempio. Rinunciare a certi privilegi, come già fa il Movimento da sei anni, è un dovere per tutta la classe politica e noi la riteniamo un’assoluta priorità che contiamo di portare a casa entro la fine dell’anno, insieme ad altri provvedimenti importanti. Il taglio delle tasse e il decreto semplificazioni che contiamo di licenziare entro metà gennaio sono priorità della Lega tanto quanto per i Cinque Stelle».

Ma il taglio degli stipendi non è l’unico fantasma che incombe sul palcoscenico giallo- verde. A incombere c’è anche il tema, quanto mai divisivo, dell’autonomia del Veneto e della Lombardia, che la Lega pretende di portare a casa senza alcuna modifica in Parlamento e che consegnerebbe alle dure regioni i nove decimi delle tasse pagate sul territorio a scapito degli equilibri con le regioni del Sud. «Il vero tema che richiede una riflessione – frena Patuanelli - non è il rafforzamento delle autonomie, ma il modo in cui tale rafforzamento va realizzato. Al trasferimento delle competenze alle Regioni si legano anche i conseguenti trasferimenti economici. E su questo non può esserci certo un dibattito risicato, ridotto a poche settimane» .