Ma se alla fine non si trovano gli incastri giusti per fare un governo, davvero Sergio Mattarella scioglierà le Camere per tornare al voto in ottobre? E’ questo l’interrogativo che fa da sfondo all’apertura, la prossima settimana, delle consultazioni al Quirinale. Consultazioni al buio: per le forze politiche e per il capo dello Stato. Un dilemma che rappresenta il clou della governabilità e che poggia sull’evidenza di una difficoltà esplosa all’indomani del 4 marzo e ancora lontanissima dall’essere risolta. Infatti, al di là di schermaglie fatte di aperture alle quali seguono subitanei irrigidimenti sempre e solo a fini tattici, il dopo- voto ha evidenziato una sintonia tra i due partiti che hanno prevalso - M5S e Lega - la quale ha consentito di accendere i motori della legislatura mediante l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Ma è una sintonia che, allo stato, non si trasforma in un possibile accordo di maggioranza e di governo: al contrario, più passano i giorni più aumentano i motivi di divisione. E’ possibile che qualcosa di più si capirà dopo il faccia a faccia Salvini- Di Maio previsto dopo Pasqua: si vedrà.

Eppure i confini del campo di gioco sono tracciati. E il possibili sbocchi politici pure. Da una parte, come detto, c’è il risucchio verso un possibile voto bis che in realtà nessuno vuole: né chi ha appena vinto e teme di non essere in grado di ripetersi; né chi ha perso e vede le urne come un buco nero dove precipitare senza salvezza. Dall’altra ci sono i rapporti forza disegnati dal responso elettorale, che a sua volta lasciano poche vie di scampo. Seggi alla mano, l’unico governo in grado di godere di un solido piedistallo parlamentare è quello che vedrebbe mischiate le truppe del centrodestra con quelle dei grillini. Ma si tratta di un amalgama che è solo numerico, non politico. Può essere che nei prossimi giorni e settimane maturino novità. Tuttavia i nodi da sciogliere restano intricatissimi: dall’indicazione di chi farebbe il premier alla presenza e al ruolo nella maggioranza di Silvio Berlu- sconi. I Pentastellati non intendono ( e in realtà forse neanche possono) rinunciare a Di Maio a palazzo Chigi; e l’ex Cav è un rospo troppo grosso da ingoiare. Quanto alle combinazioni che prevedono l’aggancio del Pd in orbita grillina ( più gettonato) o in quella di centrodestra ( praticamente inesistente), nel primo caso anche grazie ad un pressig diretto del Colle, si tratta di scenari ai confini della realtà. Intanto perché Mattarella non intende in nessun caso derogare dai suoi compiti istituzionali: se l’aggancio M5S- Pd prendesse consistenza a livello politico, certamente lo valuterebbe e ne seguirebbe l’evoluzione. Ma se così non fosse, in nessun caso spingerà verso questa o altre soluzioni. E in secondo luogo, la partita della possibile apertura del Nazareno ai Cinquestelle è perniciosamente intrecciata con quella della leadership renziana: che spinge per la prima immagina di concorrere anche e soprattutto per il superamento della seconda. Com’è evidente, non è così che funziona. Prima il Pd deve stabilire chi lo guida e verso dove, e poi sarà possibile avviare confronti politici, fermo restando che i tempi interni non coincidono con quelli della partita per il governo.

Al dunque cosa resta? Per il presidente della Repubblica, un rompicapo che al momento non prefigura soluzioni positive. Per i partiti, la necessità di finalmente uscire dai fumi della campagna elettorale e affrontare con responsabilità le questioni sul tappeto. Il botta e risposta tra il leader leghista e quello pentastellato di alcuni giorni fa, con Salvini che faceva notare a Di Maio che gli mancavano 90 seggi per fare maggioranza mentre a lui solo 50, e con Di Maio che replicava che quei 50 li poteva raccogliere dal Pd, confermano tristemente un dato: nessuno dei due ha capito fino in fondo la lezione delle urne che ha definito solo minoranze e nessuna maggioranza, e che l’uso strumentale del Nazareno inesorabilmente chiude i già strettissimi spazi di possibile dialogo. Per cui o Lega e Cinquestelle fanno un bagno di realismo e capiscono che gli accordi non si fanno usando gli scarponi chiodati nei riguardi dell’eventuale partner, oppure a entrambi non resterà che misurare una impossibilità.

Vero è che in molti, genuinamente o subdolamente, danno per scontato che alla fine Lega e Cinquestelle troveranno un’intesa e che nascerà un governo sorretto da una maggioranza di cui Berlusconi e FI faranno parte a pieno titolo, alla luce del sole. Con un premier “terzo” ed elezioni politiche appaiate a quelle Europee a metà del prossimo anno. Magari finirà davvero così. Ma se invece le cose prendessero una piega diversa e più complicata allora i partiti, tutti, avrebbero il dovere di avvertire i cittadini che è la tenuta complessiva del sistema che minaccia di finire a rischio. E che nelle possibili urne dell’autunno la posta in palio sarebbe di mandare oppure no l’Italia a gambe all’aria: altro che flat tax o reddito di cittadinanza.