La politica è freddezza e calcolo, spesso spietatezza: «sangue e merda» con le immortali parole dell'ex ministro socialista Rino Formica. Verità indiscutibili, certo, ma anche i rapporti personali, le simpatie e le idiosincrasie, a volte gli affetti, c'entrano eccome. Lo vediamo ogni giorno nell'Italia di questi tempi: il rapporto di fiducia personale e di reciproca stima che lega Matteo Salvini e Gigi Di Maio è di per sé uno degli elementi forti che cementano il patto tra soci contraenti, e che si è rivelato più volte utile per stemperare, se non per risolvere, le tensioni tra i due partiti. Non significa certo che le amicizie o le inimicizie abbiamo la meglio sulla ragion politica, ma di certo aiutano oppure ostacolano, ed è capitato che giochino un ruolo fondamentale.

Non è detto che i rapporti in questione debbano essere fondati su una conoscenza approfondita e su frequenti incontri. Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, fatti salvi gli incroci in transatlantico, si incontrarono di persona poche volte e in segreto, probabilmente non più di tre. Tuttavia bastarono a far scoccare la scintilla. I due leader si rispettavano, si stimavano e soprattutto si fidavano, certo non ciecamente, l'uno dell'altro. Senza quella reciproca fiducia la solidarietà nazionale non sarebbe mai nata. Durò poco, appena 3 anni, dal 1976 al 1979, ma cosa ne sarebbe stato se uno dei due partner non fosse stato ucciso dalle Br nessuno può dirlo neppure con ragionevole margine di probabilità.

Molto più tragico e molto più intimo il rapporto personale che legava lo stesso Moro al segretario della Dc Benigno Zaccagnini, l' ' onesto Zac' adorava moro, il suo leader, amico e punto di riferimento di una vita. «Non chiedetemi mai di tradire Aldo», aveva dichiarato in un'intervista del 1977. Nemmeno un anno dopo fu paladino, in nome della ragion politica e forse della ragion di Stato, della linea della fermezza, pur sapendo che molto probabilmente sarebbe costata la vita all'amico e maestro.

Quando fu necessario, e certamente soffrendo molto, non a cuor leggero, contribuì a far passare il prigioniero di via Montalcini per pazzo. I rapporti tra leader di forze diverse, soprattutto se contrapposte, scontano per forza una certa rarefazione, ma quel che perdono in frequenza di incontri lo guadagnano a volta in intensità. Tra Craxi e De Mita scattò una relazione di pura competitività, non solo politica ma anche personale. Se si fossero simpatici o non si sopportassero è ignoto: di certo erano impegnati in una sfida che varcava i confini della politica pere tracimare nel duello personale. Gli effetti sul sistema politico, negli anni ' 80, furono devastanti. Nello stesso decennio l'insofferenza reciproca tra le due teste di serie dei partiti alleati nel governo, il democristiano Andreatta e il socialista Formica fece epoca. A tutt'oggi esiste un modo di dire che risale appunto ai loro continui e sferzanti battibecchi, che costarono pure una crisi di governo: «La rissa tra comari».

Ma certo la confusione tra personale e politico non ha mai raggiunto e difficilmente raggiungerà di nuovo le vette toccate da Silvio Berlusconi, che tra i due livelli non ha mai saputo tracciare una linea di demarcazione netta e quando lo ha fatto ha privilegiato il piano personale. Berlusconi, si sa, sopporta tutto tranne che quello che lui ritiene il tradimento e purtroppo quando si confondono politica e rapporti personali i tradimenti diluviano. La lista dei reprobi è troppo lunga per elencarla. Almeno in un caso, però, le relazioni personali del Cavaliere, hanno orientato le sue coalizioni in direzioni opposte. Nel 1994, dopo la prima vittoria elettorale, lui e Bossi non si sopportavano e per la verità era soprattutto il secondo a non sopportare il primo, ' Berluskaz', ' Berluskaiser', i nomignoli si sprecavano. Dalle parole ai fatti corsero pochi mesi, poi il leghista disarcionò il Cavaliere.

Ci vollero anni per ricucire i rapporti, ma nel 2001 i due si ritrovarono al governo insieme. I rapporti erano cambiati ma la svolta arrivò con l'ictus che colpì il Senatur nel 2004. Berlusconi, che è un uomo a modo sue estremamente generoso, si fece in quattro per salvare l'ex nemico e più che mai dopo il secondo colpo che stava er uccidere il leader leghista. L'amicizia nata in quei giorni fu la base di un rapporto rovesciato rispetto a quello del 1994: un asse di ferro tra Fi e Lega che orientò i governi guidati da Berlusconi negli anni seguenti e che trovò plastica rappresentazione nei ' caminetti' di Arcore, quelli dove si tracciavano davvero, presenti i due leader e l'onnipotente dell'Economia Tremonti, gli indirizzi del governo.

I rapporti personali del monarca di Arcore non sono stati determinanti solo all'interno della sua coalizione. Tra lui e D'Alema, tra il 1996 e il 1998, fu quasi amore. I complimenti dell'anticomunista numero uno per il leader dell'ex Pci erano copiosi. Fu una delusione. Sulla riforma della giustizia, ai tempi della bicamerale presieduta dallo stesso D'Alema, il leader dell'ex Pci, costretto a scegliere tra il capo azzurro e i togati, restò fedele a questi ultimi. Fu la fine della bicamerale, ma anche dell'idillio tra Berlusconi e D'Alema. La triste esperienza si sarebbe ripetuta, per Berlusconi quasi vent'anni dopo, questa volta con Renzi al posto di D'Alema. Anche in quel caso il Cavaliere, ormai ex, era entusiasta del giovane postcomunista. Trovava e non a torto che gli somigliasse molto. In quell'occasione il rapporto politico- personale si trasformò in una specie di triangolo. Al momento di eleggere il nuovo capo dello Stato, infatti, spuntò dal passato D'Alema, il vecchio amore, e concordò con l'ormai attempato capo forzista l'elezione di Giuliano Amato. Renzi, in buona parte proprio in seguito ai pessimi rapporti con D'Alema si oppose, scelse di eleggere Mattarella senza concordarlo con Berlusconi e fu la fine non solo del rapporto tra loro ma anche della riforma costituzionale che i due avevano messo a punto insieme e che, senza quell'incidente, sarebbe probabilmente oggi la nuova Carta.