Possibile che la vittoria del Leave da sola abbia scatenato l’inferno nel quale sono stati risucchiati i titoli dei nostri istituti di credito e dal quale le banche faticano a uscire anche ora che le Borse hanno incominciato a reagire? Sul credito tricolore pesano oggi come non mai i 350 miliardi (un record a livello europeo) di Non performing loans: all’origine della fuga dai titoli bancari italiani c’è la lettera che la Bce ha spedito a Mps nei giorni precedenti al referendum inglese, in cui veniva chiesto all’istituto senese di liberarsi entro il 2018 di 10 miliardi di sofferenze su un totale di 24,2 miliardi, richiesta che supera l’obiettivo di riduzione delle sofferenze previsto dal Gruppo nel piano industriale 2015-2018. E i mercati, affamati dalla Brexit, hanno colto la palla al balzo. Eppure gli Npl, ovvero i prestiti non performanti, erano stati messi in evidenza dagli stress test fatti fin qui. Solo ora che le banche made in Italy risultano tra le più esposte sui mercati (complice anche l’attesa per gli stress test della Bce che si concluderanno il 29 luglio) i crediti deteriorati destano però l’allarme che avrebbero dovuto suscitare dal principio. Ma potrebbe essere troppo tardi. È infatti sempre più difficile intervenire con aumenti di capitale di mercato. E con le nuove regole europee sui salvataggi bancari, che il Governo vuole rispettare a tutti i costi a differenza di quanto pronosticato dal Financial Times, lo spazio di manovra e’ risicato: l’Ue è pronta a fischiare “fallo” per aiuti di Stato. Così per salvare Mps, e dare stabilità a tutto il comparto bancario, a Palazzo Chigi non resta che aggrapparsi al fondo Atlante, già utilizzato con Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Ma come?Tra le ipotesi al vaglio vi sarebbe quella di una ricapitalizzazione a titolo precauzionale di Monte dei Paschi di Siena, a carico dello Stato, con la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti. Ipotesi contemplata dalla direttiva europea Brrd che disciplina la risoluzione delle crisi bancarie, a condizione che l’istituto sia solvente. A tale scopo non è esclusa la creazione di un fondo Atlante 2, finalizzato all’acquisto dei soli Non performing loans, con un obbiettivo di raccolta pari o inferiore a 5 miliardi di euro, tra i cui sottoscrittori figurerebbe la Cassa Depositi e Prestiti (per via Goito si parlerebbe di un impegno compreso tra 500 milioni e un miliardo). Ma le risorse necessarie dovrebbero arrivare anche da fondi pensione, investitori istituzionali e casse previdenziali (queste ultime però sono considerate enti pubblici dall’Europa, tant’è che in aprile una loro partecipazione a Atlante 1 era stata scartata proprio per non incappare nella trappola degli aiuti di Stato). Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, l’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici, ha precisato invece che per le compagnie assicurative la ricapitalizzazione del fondo Atlante non è ancora in agenda.L’ipotesi della ricapitalizzazione preventiva è stata sostenuta sul Corriere della Sera anche dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, secondo i quali si potrebbe rifinanziare direttamente Atlante per acquistare le sofferenze al prezzo a cui le hanno valutate le banche, che in media è pari al doppio del prezzo di mercato. Ovvero a 40 centesimi per ogni euro di sofferenze, anziché a 20 centesimi. Pure per il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, intervenuto ieri sulla questione a margine di un convegno organizzato da Assinform e Confindustria digitale, per venirne fuori è necessario puntare ancora sul fondo Atlante. Intanto a Piazza Affari è continuata la picchiata di Mps. Ma se è vero da un lato che oggi la principale spina nel fianco del Governo è rappresentata proprio dalla banca senese, è vero anche che le sofferenze potrebbero costare caro pure ad altri istituti. In Italia il totale delle sofferenze nette ammonta a oltre 80 miliardi, mentre il totale delle capitalizzazioni di tutti gli istituti italiani non arriva a 60 miliardi.