Tanto tuonò che… non piovve. La lettera della Commissione europea, a doppia firma Dombrovskis e Moscovici, è tra le più garbate mai inviate da Bruxelles ai governi romani. Nella paginetta striminzita i vertici economici della Ue osservano di aver notato che l’Italia “non ha fatto i sufficienti progressi in materia di riduzione del debito del 2018”. E chiedono al governo Conte di fornire una risposta entro venerdì; ben sapendo che Tria sta lavorando alla risposta da almeno un paio di giorni. Immediatamente, lo spread ha registrato una fiammata: più per l’emozione della notizia e la poca memoria che per i contenuti della missiva europea.

Anche perché la lettera fotografa un’” ammissione di colpa” già messa nero su bianco dal governo. Già. Le osservazioni della Commissione ( mancata riduzione del debito) sono presenti nel Documento di economia e finanza a pag. 63. Nel Def, approvato dal Consiglio dei ministri e spedito a Bruxelles ad inizio aprile c’è la confessione a chiare lettere del governo di non aver rispettato gli obbiettivi di debito concordati con la Ue.

“Nel 2018 il rapporto debito/ pil – è scritto – è stimato in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto al 2017”. E la motivazione dello scostamento dal 131,7 previsto al 132,2 è stato determinato sia dalla riduzione del pil preso a riferimento, sia da un aumento del fabbisogno determinato da un incremento delle “disponibilità liquide” necessarie per fronteggiare una massa maggiore di titoli pubblici in scadenza. Insomma, a ben vedere, la lettera della Commissione ripete quello che il governo ha già scritto un mese e mezzo fa. La circostanza, però, non giustifica le linee di politica economica del governo gialloverde

Linee che cozzano apertamente sui tre Trattati fondamentali che regolano la politica economica dell’Unione in materia di bilanci pubblici. Maastricht. Viene violata la regola aurea introdotta dalla “clausola Carli” già a Maastricht. Il ministro del Tesoro dell’epoca, ben sapendo che l’Italia violava ed avrebbe violato anche in futuro la regola sul debito pubblico ( 60% del pil) impose la clausola che stabiliva la costante riduzione del debito. Il debito pubblico italiano – come abbiamo visto anche dalla letterina di Bruxelles – anziché scendere, aumenta.

Patto di Stabilità. Nella riforma del Patto venne stabilito nel 2005 la costante riduzione del deficit strutturale, fino al suo azzeramento. Questo governo, grazie anche a “quota 100” ed al reddito di cittadinanza, fa aumentare il deficit sia nominale sia quello strutturale.

Fiscal compact. Per accelerare la riduzione del debito, il Trattato ha imposto agli stati membri un avanzo primario consistente, soprattutto per quei Paesi che hanno un debito pubblico alto. Senza scendere nei dettagli, per rispettare il Fiscal Compact il bilancio pubblico nazionale dovrebbe registrare un avanzo primario nell’ordine del 3%. Quello indicato dal governo Conte è meno della metà. E’ evidente che, viste le continue violazioni dei Trattati, la finanza pubblica gialloverde è nel mirino della Commissione. Ma lo è anche per altre ragioni; assai più prosaiche.

Il governo Gentiloni aveva ottenuto il via libera europeo al suo profilo di finanza pubblica solo perché garantiva che dal 1° gennaio di quest’anno sarebbe aumentata l’Iva di 12 miliardi. Una scelta che avrebbe fatto aumentare il contributo nazionale alle istituzioni europee di 120 milioni: il bilancio Ue si alimenta con l’ 1% del gettito Iva dei singoli Stati. Scoperto il giochino, anche il governo Conte è riuscito a strappare sul filo di lana il via libera alla manovra. Ma ha dovuto alzare il gettito Iva da 12 miliardi a 23 miliardi. Con la conseguenza che Bruxelles si attende dal 1° gennaio prossimo di incassare 230 milioni. Ed è per queste ragioni che gli euroburocrati non alzano troppo la voce contro l’Italia. Confidano di incassare queste cifre. Salvini se la cava buttandola in politica: “Sono parametri vecchi, io metterei al centro del dibattito la disoccupazione, non il debito, il deficit”.