Si cerca di occultare, di soprassedere, di minimizzare. Ma la crisi più drammatica dei nostri tempi è sempre più evidente: il crollo di partecipazione in quasi tutti gli ambiti. Oltre a ragionare sulle motivazioni, non trascuriamo l’evidenza. Le persone hanno girato le spalle alla rappresentanza. La democrazia senza partecipazione va in crisi, la tenuta delle istituzioni, la qualità del discorso pubblico e dei gruppi dirigenti diventa più fragile e fornisce nuove motivazioni a non informarsi, a disimpegnarsi. La crisi della democrazia si rileva in mille cose: è crisi di partecipazione, di tutta la rappresentanza.

Di motivazione, ideali, valori, passioni, di qualità dei gruppi dirigenti e del discorso pubblico. Quando, dagli anni Novanta, l’astensionismo iniziò a crescere, qualcuno iniziò a sollevare il problema, ma era al 30 per cento. Recentemente, alle politiche ( ancor peggio alle amministrative) l’astensionismo in molte regioni è arrivato al 60 per cento. Gli italiani che non votano più sono tra i 16 e i 18 milioni: una forza quasi uguale agli elettori di una coalizione di governo. E se un italiano su due non vota, diminuisce il tasso di sindacalizzazione. Il problema è serio. Bisogna distinguere le cause dagli effetti e iniziare ad affrontare le cause, una ad una. Accade in molti paesi del mondo: qualcuno individua il problema nella qualità dell’offerta politica, nell’assenza di idealità. Altri nella domanda, nelle persone, rifugiandosi in giudizi categorici - “l’elettore non capisce nulla”.

Più saggiamente, si riflette sui tempi medio lunghi che serviranno a ricostruire un’informazione di qualità, a strutturare la formazione civica dei cittadini e al contempo l’offerta politica di chi li rappresenta, intervenendo soprattutto sulla scuola affinché torni ad avere un ruolo centrale nella formazione della cittadinanza.

Insomma, di elementi ce ne sono tanti, e non ne tralasciamo nessuno. A partire da un percorso di riforme che si rende necessario: oltre a quelle previste dal Pnrr, ancora al palo, servirebbero anche quella elettorale - che attualmente costruisce un Parlamento di “nominati” -, e quelle istituzionali, per modernizzare il nostro paese e riparare ai danni del taglio dei parlamentari e del titolo V della Costituzione. Senza trascurare un aspetto spesso sottovalutato: quello che attiene alle regole che disciplinano la vita interna ai partiti.

CAMPOBASE, LA SCUOLA POLITICA DI BASE ITALIA

Oggi partirà a Cattolica ( Rn) il percorso di CampoBase, la scuola di politica permanente e intergenerazionale di BaseItalia, proprio su questo tema: le regole.

Base è una start- up civica indipendente, a cui si può aderire se si è già iscritti a partiti, sindacati e altre associazioni e anche se non si è mai incontrata una comunità politica accogliente. La scuola si aprirà con un dialogo tra il professor Sabino Cassese e Marco Bentivogli, il costituzionalista Francesco Clementi, il direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Ruffini, i politologi e docenti Costanza Hermaninn e Antonio Floridia, i giornalisti Valeria Manieri e Alessandro Barbano.

La sessione domenicale sarà dedicata ad un confronto più politico per una proposta di patto di rinnovamento della politica che vedrà coinvolti, sotto la conduzione di Giancarlo Loquenzi, Marco Bentivogli, Pierluigi Castagnetti, Simona Bonafé, Elena Bonetti ed Enrico Morando.

Su ogni aspetto della crisi della democrazia bisogna partire dalla realtà e dai punti di forza da valorizzare. La nostra Costituzione Repubblicana è uno di questi.

La Costituzione assegna un ruolo forte a Partiti ( articolo 49) e Sindacati ( articolo 39). Ma partendo da un contesto molto diverso, dal dopoguerra, si è deciso fino ad oggi di non prevedere leggi che dessero concretezza ai principi di trasparenza e democrazia interna. Perciò ci occuperemo di come applicare l’articolo 49. Differentemente da altri paesi, per esempio la Germania, l’Italia non ha una legge che si occupi dell’attuazione dei principi Costituzionali per quel che riguarda i partiti. E la scarsa democrazia interna è spesso motivo di delusione, di disaffezione di tutti coloro che si avvicinano ai partiti. I meccanismi democratici sono inceppati, o solo formali, e affidano tutto alla cooptazione dall’alto. Gli Statuti sono inadeguati o completamente derogati. E così la trasparenza sul tesseramento, la gestione delle risorse, l’incompatibilità e il ricambio sono spesso trascurati.

Senza rispetto delle regole, il “consenso” è autocostruito per conservare i gruppi dirigenti, renderli autoreferenziali e lontani dalla vita e dalla realtà del paese.

Certo, servirebbe “benaltro”, ma senza regole chiare, la rappresentanza resterà nelle mani di chi non potrebbe fare altro nella vita: non esattamente le migliori energie dei mondi vitali del nostro paese. L’appartenenza a una forza politica o sindacale deve tornare ad essere una cosa bella. E anche entusiasmante, come tutte quelle cose per cui ci mettiamo a disposizione degli altri senza riserve. Per servire e non per servirsi. Con un chiaro obiettivo, che capovolga il paradigma consolidato: i percorsi, le iniziative, le scelte e la legittimazione non possono arrivare sempre dall’alto, ma devono diventare capaci di coinvolgere, costruire passioni, entusiasmare. Se le sedi locali sono i comitati elettorali dei notabili locali, abili surfisti tra le cordate nazionali, a chi può interessare l’impegno? Primo, liberare i partiti. Dai leader assoluti ma anche dai cacicchi, famiglie e le loro cordate. In democrazia la legittimazione parte dal basso, non dall’alto. Ecco il nostro progetto: partiamo dalle regole, costruiamo una proposta e soprattutto, ricostruiamo una democrazia bella.