Adesso è chiaro che si deve inventare qualcosa. Già la situazione era problematica per mille e una ragioni. Ma ora che l'Istat certifica crescita zero per l'Italia nell'ultimo trimestre ed uno sviluppo dello 0,7 per cento su base annua, ossia praticamente la metà di quanto previsto dal tandem palazzo Chigi-ministero dell'Economia (ci sarebbe da aggiungere il continuo record del debito pubblico, ma lasciamo stare), diventa sempre più chiaro che lo stato dei conti pubblici può diventare la voragine nella quale precipita la leadership di Matteo Renzi.Un buco nero capace di inghiottire, per essere chiari, anche il voto sul referendum costituzionale. Pil più pericoloso del No? Uno spauracchio teorico che ora minaccia di diventare realtà.Dunque bisogna che il premier si inventi qualcosa. Già, ma cosa? Secondo i boatos di Palazzo, lo stretto giro di collaboratori di Renzi avrebbe individuato nell'affluenza alle urne la golden share per vincere: se cioè si recassero ai seggi i due terzi o giù di lì (forse anche qualcosa meno) degli aventi diritto, la vittoria del Sì risulterebbe garantita. Tradotto: devono andare a votare tra i 25 e i 30 milioni di italiani. Per assicurarsi il successo, il premier deve convincere a barrare sul Sì un numero tra i 14 e i 16 milioni di elettori. È evidente che dovrà essere messo in campo uno sforzo mediatico-persuasivo gigantesco. È infatti credibile pensare di mobilitare un siffatto esercito puntando sul "merito" delle riforme? È verosimile cioè ritenere che una massa talmente imponente di elettori possa essere catturata da un pressing propagandistico per cui la riforma del titolo V è determinante per migliorare le loro condizioni di vita?Forse. Ma forse anche no: e al momento è la seconda eventualità che appare più credibile. Anche perché i tanti è sempre più agguerriti avversari del presidente del Consiglio, ringalluzziti proprio dalle cifre che inchiodano ai nastri di partenza le speranze di crescita del Paese, non staranno con le mani in mano. Basta scorrere le dichiarazioni dei principali esponenti del centrodestra e dei Cinquestelle all'arrivo dei dati Istat, tutti improntati sullo stesso tenore: Renzi ha fallito, mandiamolo a casa con il No al referendum. In altri termini il capo del governo potrà anche sgolarsi a rivendicare la bontà del "cambiamento" che le riforme apportano: la partita politica vera si giocherà su di lui, sulla possibilità cioè che in caso di sconfitta sia costretto a lasciare l'incarico. Come peraltro lui stesso aveva promesso. Però un'era politica fa.E si torna al quesito di prima: bisogna inventarsi qualcosa. Ma cosa? Risultati così asfittici costringono a rivedere non solo le stime ma anche e soprattutto le linee d'azione. Se svaniscono o si riducono i soldi per le pensioni, figuriamoci cosa può accadere per i tanto agognati tagli all'Irpef. Già bisognerà fare i salti mortali per rispettare le clausole di salvaguardia (no all'aumento dell'Iva) sancite dalle regole europee. Se evapora ogni tipo di tesoretto, anche la manciata di misure indicate per raggranellare consenso subiscono il medesimo destino. Il che significa che il governo invece di allentare i cordoni della borsa dovrà impostare una legge di Stabilità che magari non sarà tutta lacrime e sangue come profetizza con i suoi granguignoleschi accenti Renato Brunetta, ma che sicuramente non conterrà notizie tali da far fare salti di gioia ai contribuenti. È con un simile fardello portato all'esame del Parlamento che si giocherà la partita referendaria. La data del voto, infatti, verrà definitivamente stabilità dal Consigli o dei ministri a metà settembre. Si parla del 20 o 27 novembre: quando cioè il provvedimento economico principale sarà già stato esaminato e votato da una delle due Camere. Non proprio un viatico entusiasmante.Messe così le cose, forse Renzi sarà costretto ancora una volta a cambiare registro. Se la battaglia comunque finirà per essere su di lui, è su di lui, sulla sua figura che dovranno convergere gli sforzi maggiori. Il merito della riforma dovrà certamente essere spiegato. Ma è difficile non riconoscere che il terreno di scontro sarà diverso: sarà un voto pro o contro l'ex sindaco di Firenze.Del resto è su questo crinale che si muove l'universo degli attori politici. Sui Cinquestelle il discorso è chiaro: via Matteo e poi vediamo. Ma anche dalle parti del centrodestra le cose si stanno strutturando in modo simile. La proposta di Assemblea Costituente lanciata da Stefano Parisi (e di cui abbiamo parlato ieri) ha provocato un rigetto pressoché unanime nel corpaccione di Forza Italia. Perché a torto o a ragione e anche al di là delle motivazioni di chi l'ha messa in campo, sembra contenere una implicita promessa di appeasement verso l'inquilino di palazzo Chigi. Una sponda che lo stato maggiore del partito berlusconiano non vuole prendere neanche in considerazione.Chissà. Sempre secondo le rilevazioni statistiche, il numero degli incerti è molto alto e nella foltissima schiera di astensionisti sicuramente ci sono elettori moderati. Magari è su di loro che Renzi può tentare di fare breccia. Sempre che le misure della legge di Stabilità non gelino loro le mani.