La stella polare Tony Blair, un governo «non di cattivi, ma di mediocri», e un centrosinistra da costruire «senza veti» ma a partire da alcuni punti come «i salari, l’educazione, la cultura». È un Matteo Renzi deciso a «non accettare veti» quello che si presenta al Tempio di Adriano in piazza di Pietra a Roma per farsi intervistare dal direttore del Foglio, Claudio Cerasa. E per sgombrare il campo dalle tante ipotesi sul futuro suo, di Italia viva e del centrosinistra.

Fuori si parla di Liguria, dei dissidi nel Movimento 5 Stelle e, ovviamente, del caso Sangiuliano. «Noi siamo l’area Blair di un centrosinistra che vuole vincere: senza questa ala qui il centrosinistra perde», spiega il leader di Iv. Ma su alcuni temi, come il jobs act, restano le distanze: «Se Schlein, che è uscita dal Pd per protesta contro il jobs act, dopo essere stata eletta in Europa grazie al nostro 40%, ora vota al referendum contro il jobs act, non posso biasimarla. Sono invece da biasimare - ha aggiunto Renzi - membri del Pd che all’epoca hanno appoggiato il jobs act in Consiglio dei ministri e ora vogliono abolirlo. Da questi non le prendo le lezioni, mentre Elly Schlein è coerente. Ma ora dobbiamo parlare di futuro». Per poi annunciare che Iv farà dei comitati per impedirne l’abolizione di una delle misure simbolo del governo Renzi. Il quale a proposito di futuro ribadisce che «se il centrosinistra è a guida Schlein» Iv ci sta, se invece «lo guida il M5S e Il Fatto quotidiano anche no».

«Renzi? Il M5S non pone veti ma parla di credibilità - aveva spiegato la presidente della Sardegna, Alessandra Todde - Renzi a Genova governa con Bucci, in Basilicata con Bardi, in Sardegna si sono tenuti fuori dalla colazione perché consideravano perdente e non digeribile l’alleanza con il M5S. A molti sfugge che la stessa Italia Viva è spaccata. Una parte sta con Renzi, l’altra con chi non vuole dialogare con Schlein e Conte. Non siamo noi a dover fare chiarezza ma sono loro a dover capire in che direzione andare». Il riferimento è a Luigi Marattin è alla sua volontà di non seguire Renzi nel progetto di avvicinamento al centrosinistra, ma di alimentare il cantiere centrista messo in piedi con il terzo polo.

Che lo stesso Renzi ricorda quando spiega che Iv «nacque nel 2019 quando Salvini si presentò in mutande al Papeete» e che aveva tutta l’intenzione di allearsi con il Pd anche nel 2022, prima che Enrico Letta, allora alla guida dei dem, mettesse un veto.

Poi l’ex presidente del Consiglio parla di Liguria, spiega che «se qualcuno ci chiede di fare le barricate contro la Gronda» potrebbe diventare un problema, e nel pronunciare queste parole tira in ballo Lella Paita, coordinatrice nazionale di Iv che si sta occupando della corsa alla Regione. Il tira e molla per la formazione della coalizione di centrosinistra, con la candidatura di Andrea Orlando ormai assodata, è ancora lontano dal risolversi, e la voce che va per la maggiore all’esterno del Tempio di Adriano è che non è escluso che Iv alla fine possa correre da sola, abbandonando Pd, M5S, Avs e, chissà, forse anche Azione. Sarebbero troppi infatti i diktat imposti dal M5S ma anche da una parte del Pd per dare il via libera all’ingresso dei renziani: addio alla giunta Bucci a Genova, niente simbolo, candidati minori nelle liste.

Un bel boccone da digerire, forse perfino indigeribile. Chi invece sembra aver del tutto digerito il boccone delle accuse degli anni passati è il Pd, che ieri sera ha accolto il leader M5S Giuseppe Conte alla festa dell’Unità di Reggio Emilia, con tanto di dibattito in sala “Enrico Berlinguer”. Il leader M5S, come previsto, è stato accolto benevolmente dai militanti dem.