La storiella l’ha raccontata Eugenio Scalfari temporibus illis. La riproponiamo non solo perché è divertente ma anche perché potrebbe diventare di qui a poco di stringente attualità. Eccola. Il Mediterraneo è al centro del Mondo. L’Italia è al centro del Mediterraneo. L’Umbria, che per la sinistra è come parlare di corda in casa dell’impiccato, è al centro dell’Italia. Foligno è al centro dell’Umbria. Il Bar Spert è al centro di Foligno. Il biliardo è al centro del Bar Sport. E il birillo, che sia bianco o rosso pallido è tutto da vedere, è al centro del biliardo.

Ma allora è tutto chiaro, a lume di logica: il birillo di Foligno è il centro del Mondo. A questo punto, una raccomandazione è d’obbligo. Non rammentate questa storiella a Matteo Renzi. Perché, con quell’ego smisurato che si ritrova, penserà bene di essere lui, e solo lui, il birillo di Foligno. Intendiamoci, l’ex di tutto – ex presidente della Provincia di Firenze, ex sindaco della città del Giglio, ex presidente del Consiglio più giovane dai tempi dell’Unità d’Italia, ex segretario del Pd – potrebbe in effetti squadernare le sue ragioni. Con un po’ di fantasia, si potrebbe dire che da un po’ di tempo in qua, e precisamente dalla secessione dal Pd e dalla conseguente fondazione della sua Italia viva, tutto sta ruotando attorno a lui. Per il momento lui è piccino picciò, un Calimero bianco o rosso pallido. Eppure sta facendo ballare un po’ tutti i protagonisti di questa commediola politica. Lui si muove di continuo. Lo cerchi a dritta e lo ritrovi a manca. E viceversa. Gli altri, sebbene grandi e grossi, stanno più fermi di un paracarro. Insomma, incredibile ma vero, l’agenda è lui a imporla ad alleati ( sic) e ad avversari. Lui si schiera contro tutti. E tutti, facendo il suo gioco da quegli sprovveduti che sono, si schierano contro di lui. Tanti nemici molto onore? Il senatore di Scandicci ne è fermamente convinto. E a ragion veduta, si capisce. Perché la fame vien mangiando. Da quando ha aperto bottega per conto suo, i sondaggi ci dicono che sta rosicchiando qualche decimale ai suoi interlocutori. Era a poco più del 3% e adesso c’è chi lo dà al 6. Ma per crescere ha bisogno della massima visibilità. Ha bisogno di distinguersi da quanti sono – nonostante tutto – i suoi alleati. E la manovra economica, appena approdata al Senato, gliene offre spunti a bizzeffe. Ecco che dice no alla tassa sulle auto aziendali, alla tassa sullo zucchero, alla tassa sulla plastica. Facendo l’occhiolino a milioni di elettori. E il bello è che il governo e la maggioranza di centrosinistra su tali questioni a poco a poco marciano con il passo del gambero, nella convinzione di essersi fatti del male.

Dio perdona, Renzi no. A Nicola Zingaretti non ne risparmia una. Come Gino Bartali, lascia intendere che è tutto sbagliato, tutto da rifare. E intanto, giorno dopo giorno, gli sfila qualche pezzo più o meno pregiato. Giuseppe Conte l’ha voluto lui, altrimenti sarebbe tornato all’Università di Firenze a insegnare Diritto civile. Ma adesso Renzi dice che la legislatura potrà proseguire per l’intero quinquennio. Sia per tenere lontano dal potere l’altro Matteo, Salvini, sia per eleggere con tutto comodo il nuovo presidente della Repubblica. E gli aspiranti di centrosinistra sono parecchi, già pronti ai nastri di partenza. Ma non scommetterebbe un soldo bucato sulla permanenza a Palazzo Chigi di Giuseppi. E perché mai? Elementare, Watson. Per il semplice motivo che l’inquilino pro tempore di Palazzo Chigi ha parecchi santi in Paradiso. E’ cresciuto nei sondaggi. Potrebbe avere la tentazione di mettersi in proprio, scippando a Luigino Di Maio quel che resta dei Cinque Stelle, e rappresentare un pericoloso concorrente in quello spazio di centro che lui, Renzi, si propone di occupare. Con un occhio a dritta e uno a manca. A costo di diventare strabico.

Il guaio è che nessuno è perfetto. Anche Renzi ha il suo tallone d’Achille. Nientemeno che Peppone Stalin non gli fa dormire sonni tranquilli. A chi gli parlava del Papa, il dittatore georgiano domandò a bruciapelo: “Quante divisioni ha il Papa?”. Ecco, quante divisioni ha il bullo fiorentino? Oggi come oggi, ancora pochine. Il suo imperativo è uno solo: crescere. Perché se si ferma è perduto. Sogna in grande, il Nostro. Ma rischia di fare la fine di Pulcinella alla guerra, convinto di aver fatto un gran numero di prigionieri che, però, non lo lasciavano andare. Se fosse così, addio sogni di gloria. Addio birillo di Foligno.

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