Un ritorno in campo per scongiurare lo sfaldamento del partito e blindare l’esecutivo. È questa l’idea che Beppe Grillo, “l’elevato”, sta maturando nelle ultime ore anche per salvare la sua creatura, il Movimento 5 Stelle, da cilcone Alessandro Di Battista. «La voce di un suo possibile ritorno sta circolando», dice una parlamentare pentastellata, convinta che solo un impegno diretto del fondatore potrebbe riportare la pace in casa grillina, alla vigilia di un congresso, gli “Stati generali”, quantomai incerto. Da un lato Dibba, da tempo impegnato nella cotruzione di un programma di lotta per riportare il partito sulla rotta dell’ortodossia, dall’altro una schiera di papabili formalmente alternativi: da Paola Taverna a Chiara Appendino all’indomito Luigi Di Maio. In mezzo, Giuseppe Conte, spettatore di una lotta per il potere in cui l’unica vittima, paradossalmente, potrebbe essere lui, la merce di scambio per la sopravvivenza altrui. È l’ostilità verso il premier, infatti, a unire tutte le anime grilline - barricadere o ministeriali - a eccezione della corrente fichiana.

Ed è in questo contesto che il comico genovese starebbe pensando di mettere tutti a tacere con un colpo dei suoi: “riscendere sulla terra” a sporcarsi le mani e provare a bloccare anche l’emorragia d’iscritti che nel giro di quattro mesi ha registrato seimila abbandoni . In settimana Grillo è atteso a Roma per parlare di futuro: della Capitale come di Palazzo Chigi. Dovrebbe incontrare la sindaca Raggi e fare il punto con i vertici pentastellati delle fibrillazioni interne. A cominciare dal Mes, nuova trincea degli irriducibili, dopo le “Caporetto” chiamate Tav e Tap. Sulla linea di credito del Fondo salva Stati, i grillini duri e puri temono l’ennesimo tradimento - annunciato dal possibilismo di Conte e dalle pressioni del Pd e promettono già battaglia, rinfrancati dal ritrovato presenzialismo di Di Battista, che sul tavolo delle tensioni aggiunge un’ altra condizione categorica in cambio della tranquillità: la revoca definitiva delle concessioni autostradali alla famiglia Benetton.

«Se Grillo ritornasse davvero non ci sarebbe bisogno neanche di celebrare gli Stati generali», spiega un deputato. Il congresso, in altre parole, verrebbe congelato per traghettare il partito verso una “successione” meno traumatica. Ma è proprio questa eventualità a mettere in allarme il quartier generale pentastellato, che negli ultimi anni ci ha messo la faccia mentre il comico optava per il passo di lato. Di Battista e lo stesso Di Maio, apparentemente incompatibili, non permetterebbero mai di essere esautorati con atto d’imperio. E per disinnescare l’eventuale ritorno lavorano alcremente alle regole congressuali e alle “riforme” da presentare all’assemblea. Prima fra tutte: la cancellazione del vincolo dei due mandati. Per i sindaci, inizialmente, per tutti i parlamentari in una seconda fase. Perché in una fase qaundo i valori originari perdono qualsiasi significato bisogna mettere sul piatto qualcosa di sostanzioso per ottenere consesi. Che per una classe dirigente in procinto di essere congedata ( secon le attuali regole) significa offrire a deputati e senatori la possibilità di un “terzo giro” e guadagnarsi la gratitudine. E il controllo, quello che ormai nemmeno Beppe Grillo è in grado di garantire.

Per riuscire nell’operazione, bisogna però stringere i tempi, ed entro la fine di giugno sono già previsti incontri al vertice per definire i dettagli dell’operazione congressuale che, a meno di nuovi colpi di scena, dovrebbe tenersi entro ottobre. «Il Movimento non ha bisogno di una testa o due teste, ma di riscoprire idee», dice intanto il capo politico pro tempore Vito Crimi. «Alessandro Di Battista è una grande risorsa, porta entusiasmo e capacità di visione importanti ma lo stesso posso dire di Luigi Di Maio o di altri, tutti insieme facciamo squadra».

Le creature di Grillo sono cresciute e adesso puntano a prendersi il partito. Sempre che il fondatore non decida di diseredarli.