Fra gli aspetti più paradossali, e tristi, di questa benedetta - si fa per dire - vicenda dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano c’è la necessità in cui egli ha finito di trovarsi di imboccare la strada giudiziaria per difendersi dalla “ricattabilità” contestagli dalla sua ex di tante cose Maria Rosaria Boccia.

Il ministro cioè è praticamente costretto a seguire lo stesso percorso imboccato contro di lui dal deputato dell’opposizione Angelo Bonelli. Che ha depositato nel posto di Polizia della Camera un esposto alla Procura della Repubblica di Roma con undici allegati per presunto peculato e violazione del segreto d’ufficio in cui Sangiuliano sarebbe incorso intrattenendo rapporti con la Boccia.

Così i magistrati - o “il Soviet delle toghe rosse” sarcasticamente evocato da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano - non hanno dovuto alzare neppure un sopracciglio. La politica è finita spontaneamente fra i loro piedi e le loro mani. E temo che vi rimarrà a lungo anche in o per questa vicenda esplosa come un gossip e sviluppatasi come un dramma che non si sa, francamente, se più umano che persino istituzionale Insomma, per farla corta e breve, ancora una volta il “primato della politica” - vi dice nulla questa espressione? - è stato piegato da quello della giustizia, secondo il “forte squilibrio” fra i poteri creatosi a favore della seconda una trentina d’anni fa e denunciato con nettezza dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrivendone pubblicamente alla vedova Craxi nel decimo anniversario della morte del marito Bettino. Che aveva ricevuto nelle sue vicende giudiziarie per il diffuso finanziamento illegale dei partiti, e più in generale della politica, un trattamento di una “severità senza uguali”. Trattato cioè come un capro espiatorio, e costretto ad andarsene a morire, con la malattia che aveva, in terra straniera per non rischiare di morire in un carcere italiano. O in una stanza d’ospedale piantonato da Carabinieri, come si era predisposto a disporre l’allora capo della Procura di Milano quando gli si profilò l’ipotesi di un rientro dell’ex presidente del Consiglio per farsi operare di tumore al rene in condizioni di migliore sicurezza sanitaria che a Tunisi.

Il “primato della politica”, dicevo. Condiviso e sbandierato anche dalla destra ex o post- giustizialista dopo il suo arrivo al governo e ancor più alla guida di esso. Ne scrisse la premier in persona firmando il registro delle presenze dopo avere visitato a Testaccio una mostra in memoria di Enrico Berlinguer. Ma quale primato della politica “che è tutto”, come scrisse appunto la Meloni, e dove scorrendo le cronache della vicenda Sangiuliano nelle pieghe che hanno preso negli ultimi giorni? Verso un percorso giudiziario - non importa se solo civile e non penale, sempre giudiziario è - si avvia ormai anche la vicenda del MoVimento 5 Stelle per lo scontro in corso fra il fondatore e garante Beppe Grillo e il presidente Giuseppe Conte, deciso a discutere in una Costituente autunnale anche l’indiscutibile costituito secondo Grillo dal nome, dal simbolo e dal limite dei due mandati elettivi. Se finirà tutto in una causa, Conte da avvocato e professore di diritto è sicuro di vincerla. Altrettanto però Grillo e i suoi avvocati. Che nell’ultima sortita sul blog personale, sotto il titolo latino “Repetita iuvant”, per niente trattenuto dalle sue funzioni anche di consulente praticamente di Conte a contratto per la comunicazione, ha rivelato tutta la natura profondamente politica dello scontro. Egli ha scritto, in particolare, contro gli “abbracci mortali” del suo MoVimento col Pd e gli altri aspiranti al cosiddetto “campo largo” - o solo “giusto”, come Conte preferisce chiamarlo - dell’alternativa al governo Meloni. Del quale non vorrei che alla fine, per dispetto, Grillo dovesse comicamente prendere le difese proprio nel momento in cui esso appare più indebolito.