Beh, diciamo la verità, se la sono un po’ cercata e meritata dentro Forza Italia e dintorni la sostanziale accusa di “vile ipocrisia” lanciata da Mattia Feltri sulla Stampa, fra le ultime righe del suo “Buongiorno”, a commento degli auspici, inviti e simili che vengono rivolti a Marta Fascina a smetterla di piangere, o di piangere soltanto, per la morte del suo quasi marito Silvio Berlusconi, e di tornare alla Camera. Dove si avvertirebbe il peso della sua assenza in aula e in commissione, visto che capita anche ad una maggioranza ampia, sulla carta, come quella di centrodestra, ora anzi di destra- centro, andare sotto per negligenza. O addirittura per calcolo, come ha qualche volta prospettato l’opposizione immaginando complotti, facendone magari scrivere sui grandi giornali da amici e simili e poi accreditandoli con le reazioni nervose della premier Giorgia Meloni e familiari.

Si è chiesto giustamente il figlio di Vittorio Feltri, ereditandone la franchezza, perché con Berlusconi in vita, quando la Fascina preferiva assisterlo, oltre che amarlo, piuttosto che correre a votare a Montecitorio, “non erompeva l’urgenza democratica che di colpo erompe adesso”. Perché gli elettori di Marsala, in Sicilia che l’hanno rimandata alla Camera l’anno scorso - anche se sul Fatto Quotidiano Daniela Ranieri continua ad occuparsene come di una deputata eletta in Campania al pari di quattro anni prima- dovrebbero reclamare oggi ciò che non hanno fatto sino a giugno scorso, cioè una presenza assidua della loro rappresentante a Montecitorio? “Era forse nel programma elettorale di Fascina - chiede Mattia Feltri con altra impertinenza- l’assistenza domiciliare del Leader?”, con la maiuscola pretesa dal dittatore di turno in Corea e simili.

Solo “Il buon gusto - ha sempre calcato la mano Mattia Feltri in un altro passaggio della sua impietosa protesta - ha trattenuto i colleghi smaniosi di rivedere la Fascina alla Camera “dal ricordare all’ereditiera da cento milioni di euro che non è il caso di intascarsi a sbafo pure un lauto stipendio corrisposto con denari pubblici”.

Qualcuno, in verità, si è avvicinato, quanto meno, ad una simile protesta prospettando l’opportunità di una rinuncia della Fascina al seggio parlamentare per fare subentrare il primo dei non eletti. Ma è stata soprattutto Maria Rosaria Rossi, ex potente segretaria di Silvio Berlusconi ed ex senatrice forzista, non mi sembra rientrata a casa dopo essere stata attratta nella scorsa legislatura dalla missione dei “responsabili” cercati dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte per evitare la caduta del suo secondo governo. E l’arrivo a Palazzo Chigi di quella specie di usurpatore che ancora qualcuno, sotto le cinque stelle, considera Mario Draghi più di un anno dopo la fine della sua esperienza di premier tecnico.

Egli mise in piedi tuttavia un governo politico di larghe, direi anzi di larghissime intese, almeno sino quando proprio i grillini decisero di sfilarsi con tanta poca grazia o tanto avventurismo politico da indignare il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, mica quello dello Spettacolo, e fargli abbandonare il movimento che aveva a suo tempo addirittura guidato.

Quante cose - è vero- sono accadute in così pochi anni, in fondo, fra il 2021 e questo 2023 ormai calante. E’ persino successo che Di Maio, non rieletto fra la soddisfazione di un Conte pur dimezzato nei voti del movimento affidatogli da Beppe Grillo fra un po’ di mal di pancia, navighi ora nel Golfo Persico come rappresentante dell’Unione Europea grazie al credito guadagnatosi a suo tempo a Bruxelles proprio come ministro degli Esteri di Draghi.

Ma torniamo alla Fascina chiamata dai genitori col nome della protettrice di casalinghe e domestiche ed entrata improvvisamente nel mirino persino domestico della lotta all’assenteismo parlamentare.

E’ chiaro che anche questa vicenda - immagino quanto la stia angustiando - ha aspetti più politici che moralistici, o semplicemente affettivi per chi sostiene che gli inviti al ritorno alla Camera derivino solo dalla preoccupazione di vedere l’onorevole stremata dal dolore e dalla clausura vedovile che si è imposta. Qualcuno forse in Foza Italia non ha ancora ben capito se e come essa vorrà impegnarsi, quale tela ha da tessere, a favore davvero o contro la momentanea leadership, al minuscolo, di Antonio Tajani. Di cui mi ha sorpreso non so se più l’urticante o sfottente commento del Foglio alla sua figura di “complottista moderato”, non “truce” come da tempo viene liquidato su quel giornale Matteo Salvini, l’altro vice presidente del Consiglio e capo della Lega.

“L’esito” della presenza e dell’azione di un complottista moderato - hanno scritto al Foglio - “è quel che è: un po’ comico, o meglio umoristico, nel senso che dell’umoristico dava Pirandello, includendovi insomma un che di commo- ven- te”.

E’ tutta acqua - temo per Tajani utile alla concorrenza elettorale che Matteo Renzi ha deciso di fare, col suo più o meo fantomatico “Centro”, al successore di Berlusconi che l’ex premier toscano nei suoi articoli e discorsi attacca senza neppure nominarlo, tanto lo ritiene irrilevante: un giudizio, d’altronde, ricambiato.