L’unico a onorare con la sua presenza la presidente del Consiglio è il titolare dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Di tutti gli altri ministri leghisti, per il secondo giorno consecutivo, nemmeno l’ombra. La premier Giorgia Meloni parla alla Camera alla vigilia del Consiglio europeo, senza scudieri con la spilletta di Alberto da Giussano appuntata alla giacca. «Avranno altri impegni, non saranno a casa a girarsi i pollici», minimizza in Transatlantico il capogruppo del Carroccio alla Camera, Riccardo Molinari. «Ho sentito poco fa Giorgetti ed era impegnatissimo sulle crisi bancarie. Comunque il gruppo c’è e anche il rappresentante della Lega al governo, visto che è presente Valditara. Non c’è nessun problema politico», aggiunge l’esponente leghista, provando ad abbassare i toni decibel del giorno prima.

Perché a 24 ore di distanza ancora bucano i timpani della maggioranza le parole pronunciate martedì a Palazzo Madama dal capogruppo leghista Massimiliano Romeo. Quelle perplessità sugli aiuti militari all’Ucraina, «con il rischio di un incidente da cui non si possa tornare indietro» , rischiano ora di indebolire Meloni, che sulla conversione atlantista si è giocata buona parte della sua credibilità internazionale. E presentarsi a Bruxelles, con in tasca una risoluzione pro Kiev approvata dal Parlamento, ma col sostegno di alleati ambigui sull’argomento rischia di rendere la premier italiana una leader azzoppata agli occhi di partner europei già sospettosi.

Lo scetticismo sugli aiuti militari all’Ucraina, del resto, non riguarda solo la Romeo e la Lega. In Europa, e oltreoceano, nessuno ha dimenticato le dichiarazioni del mese scorso di Silvio Berlusconi, quando, a urne delle Regionali aperte, disse su Zelensky: «Bastava che cessasse di attaccare le due Repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe avvenuto, quindi giudico, molto, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore». Parole così nette da rendere quasi vani gli sforzi diplomatici di Antonio Tajani per scongiurare incidenti politici insanabili. Le continue rassicurazioni pubbliche di Forza Italia sulla fedeltà azzurra alla linea atlantica finora non sono bastate ad allontanare le diffidenze internazionali. Che non ricadono però sul Cavaliere, o su Salvini, ma su tutto il governo e sulla premier.

«La situazione è un tantino più complessa di come la fa certa propaganda», dice adirata Meloni alla Camera, formalmente rivolta a una parte delle opposizioni, sostanzialmente anche agli alleati “no war” della maggioranza. «Si parla di pace: mi si può dire quali sono secondo voi le condizioni per aprire un tavolo di trattative?», scandisce la premier. Che insiste: «Ritenete che si debbano dare a Mosca i territori che ha occupato, sui quali ha celebrato un referendum di autodeterminazione o no? Questo è quello che vorrei sentire se stiamo parlando seriamente di pace, altrimenti quello che si sta facendo è la propaganda, sulla pelle di una nazione sovrana, di un popolo libero e del diritto internazionale e questo è irresponsabile», dice Meloni, parlando alla nuora perché suocera intenda.

Per ora la premier può comunque dormire sonni tranquilli: fino a dicembre non sono previsti altre votazioni per autorizzare l’invio di armi a Kiev, ma le occasioni per esacerbare i rapporti con gli alleati di certo non mancheranno.

Anche perché le assenze della Lega dai banchi del governo non erano legate esclusivamente alla guerra. C’è un altro fronte che in queste ore agita le acque della maggioranza e riguarda le nomine nelle grandi aziende pubbliche. Il Carroccio si sente penalizzato dalle scelte di Fratelli d’Italia e non si fa problemi a ostentare la propria contrarietà. Finché il puzzle non verrà composto ogni occasione sarà buona per far sentire sotto pressione la premier.

«Questo esecutivo è già in crisi. Per le ragioni sbagliate», twitta intanto Carlo Calenda, puntando il dito contro le assenze del Carroccio dai banchi del governo. Probabilmente non sarà come dice il leader del Terzo Polo, ma oggi Meloni dovrà spiegare un po’ di cose agli altri capi di Stato europei.