Usando una metafora calcistica, qualcuno ha già definito le parole del Generale Vannacci sugli scolari disabili un autogoal al primo minuto. Se ci fosse stato qualche dubbio sul fatto che il front-man del Carroccio delle prossime elezioni europee abbia inanellato una robusta gaffe nella sua prima intervista ufficiale da candidato, la controprova è arrivata dallo stesso segretario della Lega Matteo Salvini, che si è affrettato – come usa in questi casi – a dare la colpa ai giornalisti, rei a suo avviso di aver travisato volutamente le frasi del militare.

Eppure, in questo episodio, emerge molto della scommessa che il vicepremier sta facendo su questa importantissima tornata elettorale: una scommessa rischiosissima, la cui posta in gioco non è semplicemente il peso specifico della Lega nello scenario politico nazionale e nel centrodestra, ma la sua leadership.

La fase di rullaggio, per il vicepremier, è ormai partita, e non si può tornare indietro: Vannacci rappresenta l’all-in del vicepremier rispetto a chi, dentro al Carroccio, non nasconde più il proprio malumore per la linea politica sovranista e nazionale e attende la prima occasione utile per andare alla resa dei conti, peraltro ufficialmente concessa dal segretario sotto forma di congresso autunnale. Un’operazione politica, quella che ha portato Vannacci dalle mostrine alla spilla di Alberto da Giussano, che ha tagliato fuori tutto il ceto politico leghista, decisamente ostile alla candidatura, e che si rivolge direttamente all'elettorato di una destra che non ama i compromessi di potere, come quelli ai quali, ad esempio, è costretta spesso a piegarsi Giorgia Meloni, presidente del Consiglio di una delle sette nazioni più ricche del mondo e socio fondatore dell’Unione europea.

In quest’ottica, il miglior alleato di Salvini potrebbe proprio essere il moltiplicarsi degli appuntamenti preparatori al vertice pugliese di metà giugno, nei quali sarà certamente più complicato per la nostra premier conciliare il ruolo istituzionale e diplomatico con l’ “elmetto” da campagna elettorale da leader di popolo e di partito rivendicato ancora domenica scorsa a Pescara. Sarà nelle more di questi appuntamenti, che i “due tenori” della destra sovranista italiana contano di piazzare le loro stoccate e di riguadagnare alla causa leghista almeno una parte di quei consensi traslocati in massa sotto le insegne di Fratelli d’Italia.

Per fare questo, però, occorrerà spingersi laddove la presidente del Consiglio non potrà, soprattutto su territori come il contrasto all’immigrazione illegale e la sicurezza. La campagna dei due sarà aggressiva, come testimoniano anche le foto social di Vannacci che indossa una t- shirt anti- Pd rilanciata da Salvini. Il rischio però è di farsi scappare la frizione, come accaduto per l’uscita sui disabili, e darsi la zappa sui piedi anche nei confronti della “fronda” leghista. Tra domenica e ieri, non sono mancate le parole di insofferenza per le frasi di Vannacci, dette a mezza bocca dagli eletti leghisti che già avevano dichiarato a chiare lettere di preferire un leghista di lungo corso nelle liste al posto del militare. Quel laconico «non è un leghista» pronunciato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti la dice lunga, così come la dicono lunga le pronte stigmatizzazioni arrivate dagli alleati di Fd’I e FI, lesti a sfruttare elettoralmente ogni passo falso dell’inedita accoppiata sovranista.

Qualcuno ha visto lo sguardo normalmente pacato di Antonio Tajani illuminarsi di un’energia particolare, quando un cronista gli ha chiesto un commento sulle frasi del Generale, sentendosi rispondere dal segretario di Forza Italia con un «altre domande per favore?» di chi annusa marpione il sorpasso elettorale. Da parte sua, Salvini prova a respirare guardando il sondaggio che, nella base leghista, lo vedrebbe ancora in cima al gradimento, rispetto ad altri ipotetici leader, ben consapevole però del fatto che il vero banco di prova saranno le urne. Qualcuno – mutatis mutandis – ha già paragonato l'operazione Vannacci a quanto fece, qualche anno fa, con Giuseppe Conte Beppe Grillo, che estrasse un coniglio dal cappello nell’intenzione di placare fronde interne e lotte alla successione nel M5S. La fine è nota, con l’ “avvocato del popolo”, arrivato dal nulla che sfila il Movimento al suo fondatore. Ma per l’avventura di Salvini e Vannacci siamo solo alle battute iniziali.