È noto: i voti non hanno odore, proprio come i soldi. Ed è bene incassarli anche se arrivano da uno che si chiama Massimo D’Alema. Cercando, però, di compromettersi il meno possibile. E così ha fatto il leader in pectore dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio. Appena saputo del (presunto) endorsement dalemiano, Di Maio ha infatti specificato che sì, ogni voto è buono, anche se arriva dal campione del “partitismo ancien régime”, ma questo non vuol dire che sia l’inizio di una liaison. Anzi, Di Maio ha specificato che la scelta di D’Alema altro non è che frutto della guerriglia interna al Pd del quale lui non vuol sapere niente.Del resto Di Maio era stato costretto a uno slalom simile con un altro endorsement piuttosto imbarazzante, almeno per il popolo grillino, così fiero del suo “splendido isolamento”. Quello del leader leghista Matteo Salvini che, senza colpo ferire, aveva dichiarato candidamente che il suo voto sarebbe andato a sostegno dei candidati pentastellati. Tutti fuorché Renzi e il Pd, aveva infatti specificato Salvini: «Non sono proprietario dei voti di nessuno e non farò appelli al voto, ma se qualcuno mi chiede un consiglio, gli dico di cambiare. Cambiare chi ha mal gestito Roma e Torino. E dunque non votare mai per uno del Pd e mettere alla prova i 5 Stelle. Gli darei il mio voto sia a Roma che a Torino», aveva annunciato a la Zanzara. Anche il quel caso Di Maio aveva incassato senza colpo ferire, specificando però che il sostegno leghista era una libera scelta dei dirigenti del carroccio, deliberata senza alcun vincolo di reciprocità: «Non facciamo inciuci né accordi preelettorali con nessuno», specificò in fretta Di Maio. E ancora: «Sala o Parisi, De Magistris o Lettieri, Merola o Borgonzoni e così via: per noi pari sono. I voti sono dei cittadini, non dei segretari di partito. Il M5s non dà indicazioni per i ballottaggi in cui non è presente con le sue liste». E più in là, tanto per essere ancora più chiari: «Non esiste alcun asse con nessuno. Esistono solo loro (che hanno distrutto questo Paese) e noi che vogliamo farlo risorgere». Come dire: il movimento incassa da tutti ma non dà i propri voti a nessuno.E di fronte a questa presa di posizione Salvini aveva fatto orecchie da mercante, lasciando intendere che in tempi più maturi, chissà, un asse tra i due populismi, quello giallo grillino e quello verde padano, potrebbe essere un’opzione politica assolutamente percorribile: «Con il M5s ci sono - aveva infatti chiosatoi il leader leghista - ci uniscono pulizia, trasparenza, onestà e il no all’euro». Ma intanto, guardando al referendum di ottobre, Salvini aveva spiegato di essere pronto a iniziative per il no da portare avanti «con tutti quelli che vorranno condividere questa battaglia. Utilizzeremo tutta l’estate per spiegare il nostro no, che non è quello dei professoroni. La Costituzione si può cambiare, ma non così».