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La premier Giorgia Meloni
I festeggiamenti esplosivi del poco onorevole deputato Fdi Emanuele Pozzolo hanno rovinato in anticipo la festa di Giorgia Meloni: ammesso che si possa definire festa una conferenza stampa di fine anno, passata di rinvio in rinvio a “di inizio anno”, che in tutta evidenza la premier preferirebbe evitare. Non che sia lecito sospettare una malattia diplomatica, la ormai famigerata otlite non era una scusa per svignarsela. Però che la presidente non ami le domande a raffica, soprattutto se a tutto campo, è chiaro e l’appuntamento di domani su quel piano non teme confronti. I due rinvii precedenti, tutto sommato e in prima battuta, alla premier avevano probabilmente fatto piacere. Come è del tutto comprensibile vorrebbe una conferenza centrata soprattutto sui risultati del suo primo anno a Chigi perché lì di argomenti da squadernare, piaccia o non piaccia, ne ha. Cifre e percentuali sono a suo conforto, indipendentemente dalle cause, che probabilmente non vanno tutte a merito del governo in carica, e dalle conseguenze, tutt’altro che rosee per quanto riguarda la via materiale del popolo che governa. Resta che, nel desolato panorama europeo, Meloni può rivendicare risultati almeno sulla carta effettivi.
Certo, c’è la grana Mes che era e rimane ineludibile, ma quello è un argomento che la presidente non solo non teme ma anzi sa di poter volgere a proprio vantaggio. Servirà a coprire la resa ingloriosa sul Patto di Stabilità e a restaurare l’immagine grintosa di un esecutivo che nella sfida sul Patto è stato molto più belante percorella che non temibile lupacchiotto. C’era e ci sarà anche il fattaccio Verdini, ma anche quella è una spina che punge meno di quanto non allietino i petali. La figura torbida, in fondo, non la fa mica lei: tocca a Salvini che è sì amico e vicepremier, ma anche rivale da battere e meglio ancora se lo si straccia, così si chiarisce definitivamente chi detiene i voti, la forza e lo scettro.
Però con Fratel Pozzolo la musica è tutt’altra. Il deputato che invoca l’immunità parlamentare per rifiutare il guanto di paraffina e non consegnare i vestiti che indossava la momento del fattaccio, sui quali potrebbe essere rimasta traccia della polvere da sparo, fa Casta che più Casta non si può, anzi fa quasi marchese del Grillo, “Io so’ io e voi nun siete un c...”. Un regalo della befana per Conte e per il suo Movimento, un disastro per Giorgia la populista. L’episodio, quanto a impatto sull’opinione pubblica, è molto più grave dell’innumerevole serie di disavventure che hanno portato l’opposizione a reclamare invano dimissioni di un po’ tutti, rendendosi per lo più ridicola. Quelli erano tutti fatti, a volte davvero gravi, in altre occasioni montati ad arte, interni ai mondi a parte della politica e degli affari: lo sparo di capodanno è una di quelle cose che possono capitare sempre e ovunque e che mobilitano pertanto emozioni molto più immediate. In questo caso, infine, è impossibile cavarsela, come pure FdI prova a fare, accusando l’opposizione di strumeltalizzare politicamente cose che con la politica non c’azzeccano. Un parlamentare che spara o che si fa soffiare la pistola carica da uno sparatore, con tanto di persona ferita dalla pallottola vagante, nemmeno con le acrobazie più funamboliche lo si può contrabbandare per “fatto di cronaca e non politico”.
La premier, probabilmente, sa di non poterla far passare, stavolta. Senza dimissioni “spontanee” del deputato, la sospensione o peggio l’espulsione dal partito sono, o dovrebbero essere, inevitabili. In caso contrario risulterebbe arduo difendere il già difficilmente difendibile ospite, sottosegretario Delmastro, non tanto per le sue eventuali risponsabilità, probabilmente inesistenti, ma per il dissennato commento con cui all’inizio aveva cercato di minimizzare quel che non si può minimizzare neppure con un colpo di bacchetta magica.
La premier, già nei guai per il monito molto fermo di Mattarella sull’eterna querelle balneari, non può arrivare alla conferenza stampa con la mannaia Pozzolo pendente sul collo. Se ieri pomeriggio non lo aveva ancora fatto, e già il ritardo è grave, dipende dall’eterna sindrome del Msi, il partito escluso nel quale era obbligatorio far quadrato sempre. A volte le scelte importanti passano per episodi in sé minori: per Meloni il dilemma tra capofazione approdata quasi per miracolo a Chigi e leader politica europea a pieno titolo dipende anche dal coraggio con cui si muoverà sul caso Pozzolo.