Il politico italiano - scriveva già ai suoi tempi Luigi Barzini jr - si è formato nella tradizione barocca; sa recitare benissimo, ha imparato a stare in scena e, di volta in volta, i suoi maestri sono Masaniello, Vittorio Emanuele Orlando, Mussolini, Gronchi e Pertini. La classe dei D’Azeglio, dei Cavour, dei Giolitti - era la conclusione, alla quale di nostro aggiungiamo i Ciampi - è un’eccezione.

L’amara constatazione ci è tornata in mente riflettendo sullo strano caso dell’attuale presidente del Senato, che assurge all’onore delle cronache nei pezzi di colore, e quasi sempre solo perché, contraddicendo quella che per tutta la storia repubblicana è stata la postura d’imparzialità dell’alto incarico, risponde con battute color vetriolo a chi gli chiede cosa ci faccia la seconda carica dello Stato a questa o quella riunione di partito. Corroborando così, a forza di spintoni verbali, la popolarità che a Ignazio La Russa regalò, facendone un’azzeccata caricatura, il celebratissimo Fiorello.

Eppure, il tema non sembra da facezie. E il primo a rendersene conto potrebbe essere lo stesso La Russa, che non a caso nel suo discorso d’insediamento a Palazzo Madama pronunciò parole di perfetta garanzia di imparzialità. Parole inevitabili.

Quel che è accaduto in seguito, e che ha provocato le colorite repliche e i pizzicotti canzonatori dei cronisti, è che il presidente del Senato intende - e lo ha anche esplicitato - continuare a fare quella che comunemente si chiama “attività politica”. Il suo ex presidente di partito, e pure ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha di recente sostenuto che da un presidente d’assemblea parlamentare si deve esigere imparzialità quando guida l’Aula, ma non si può pretendere che non faccia politica fuori dall’emiciclo.

E però fare attività di partito è cosa ben diversa, come ognuno può facilmente comprendere. Occorre ricordare che vi è stato un tempo, e un tempo abbastanza lungo nella storia repubblicana, in cui perfino i gruppi parlamentari erano disgiunti e autonomi dai partiti e dalle loro segreterie, un tempo in cui, quando il Capo dello Stato doveva aprire le consultazioni per individuare la personalità alla quale conferire l’incarico di formare il governo, riceveva i capi dei gruppi parlamentari e lasciava fuori della porta i segretari dei partiti. Non che questi ultimi non avessero un ruolo: certo che l’avevano, ma in sottofondo. Con la cornetta in mano.

Certo, acqua sotto i ponti ne è passata. E infatti, oggi, i segretari di partito accompagnano i capigruppo dal Presidente alle consultazioni. Ma, si noterà, quella forma è rimasta. Come mai? E come mai - ci avete fatto caso? - i presidenti della Repubblica per trascorrere quelle quasi-ferie estive se ne vanno sempre in qualche tenuta quirinalizia, in qualche caserma sulle Alpi o in Sardegna, o al massimo, come faceva Giorgio Napolitano, per qualche giorno su un’amata isola eolica? Come mai nessuno di loro fa mai quel che fanno molti italiani, vanno in vacanza all’estero? Il presidente della Repubblica è un organo costituzionale, le sue funzioni non possono andare in vacanza, e alla Costituente ci fu un bello scervellarsi su come dove quando perché e quanto delle sue funzioni potessero trasferirsi a qualcun altro in casi estremi di necessità. Ma soprattutto a chi potessero essere temporaneamente trasferite.

Si decise che la carica vicaria dovesse essere quella del presidente del Senato perché - per dirla con le parole del Costituente liberale Aldo Bozzi - «presenta aspetti di maggiore omogeneità o minore eterogeneità» rispetto a quella «dell’organo presidente della Repubblica». Fermo restando che in caso di supplenza temporanea si tratta di supplenza della persona e non delle funzioni, perché trasferirle al presidente del Senato e non a quello della Camera? Perché - spiegava sempre Bozzi- «il Senato, pur avendo funzioni pari a quelle della Camera, presenta talune note di differenziazione che lo pongono in certa misura al riparo dalle manifestazioni più acute della lotta politica e di partito; ragion per cui il Presidente del Senato, come primus inter pares dell'organo, ha caratteristiche di maggiore omogeneità con il Capo dello Stato, soprattuto sotto il profilo della visione imparziale, o per lo meno non rigidamente partitica, degli interessi nazionali da tutelare».

Ecco fatto: il presidente del Senato è la Seconda Carica dello Stato perché testimonia «visione imparziale o per lo meno non rigidamente partitica, degli interessi nazionali da tutelare». È ovvio che possa “fare politica” come un qualunque cittadino italiano: ma non può essere e nemmeno tantomeno sembrare che faccia attività partitica. Se non fosse chiaro, basta la parola: partitico vuol dire di una precisa parte.

Infatti, non han forse fatto - per stare a tempi relativamente recenti - politica Bertinotti, Casini e Fini, pure tenendo in sostanza sulla corda i rispettivi governi, e Fini sino al «E che fai, mi cacci?» col quale abbandonò il Pdl e il governo Berlusconi al proprio destino? Ma mai nessuno di loro ha partecipato a riunioni di partito, e tantomeno vantandosene. E non erano - comunque - cariche vicarie del Capo dello Stato: non erano sottoposti a quel rigido criterio di imparzialità. E non osiamo immaginare a quali deflagrazioni avrebbe portato se un Bertinotti, un Finì o un Casini si fossero presentanti a una riunione a Palazzo Chigi, come è invece capitato che abbia fatto Ignazio La Russa. In termini istituzionali, un abbassamento nel rapporto tra organi costituzionali e molto più che partecipare a una riunione di partito. Per capirlo fino in fondo, basta chiedersi come mai sia il presidente del Consiglio incaricato ad andare in visita a Montecitorio e a Palazzo Madama, e non il contrario. La sede di governo è la sede di un organo politico che, per entrare in funzione, ha bisogno della fiducia delle assemblee: così è nella democrazia parlamentare.

Se è consentito anche a noi scherzare per un momento, non al presidente del Senato ma a ‘Gnazio vorremmo dire: «Esiste il telefono! E pure Skype!».