La riforma della giustizia che di fatto abbatte quella precedente, firmata dal 5S Alfonso Bonafede, è passata in sede di Cdm con molti travagli e un voto informale. Arriverà il 23 luglio in Aula e non è affatto detto che tutto scorra liscio. La parte del Movimento che guarda a Conte ingoia a fatica, il quotidiano di Marco Travaglio soffia sul fuoco come un mantice. Certo a Montecitorio le truppe di Grillo sono più folte e nello scontro tra i 5S alla vigilia del Cdm di giovedì il capogruppo alla Camera Davide Crippa era tra i favorevoli a votare la riforma anche prima del rimaneggiamento- alibi che ha convinto, per amore o per forza, anche i contiani. Ma se qualcuno, in particolare proprio l'ex ministro della Giustizia Bonafede, dovesse smarcarsi alla Camera sarà un segnale inoppugnabile della tempesta che monterà poi al Senato. Dove invece la fazione di Conte è maggioritaria.

In realtà l'esplosione ora, appunto sulla riforma della giustizia, è improbabile. I 5S sono e resteranno ancora troppo immersi fino al collo nelle acque gelide del guado in cui si trovano per potersi permettere colpi di testa, salvo tracollo della peraltro difficilissima mediazione affidata ai sette saggi in corso. Ma è invece molto probabile che la vicenda della prescrizione avvii comunque il conto alla rovescia, non solo per l'impatto su eletti ed elettori pentastellati della caduta dell'ultima ridotta ma soprattutto perché quella rotta corona un percorso costellato di sconfitte e destinato a proseguire in quella direzione.

Si sa che Lega e Pd sono partiti impegnati in una sfida a chi è più draghiano ed entrambi hanno qualche buona ragione per definire il governo Draghi come “loro” più che degli altri. Renzi quel governo lo ha tenuto a battesimo. Non avrebbe neppure bisogno di rivendicarne il merito e comunque non perde occasione per farlo. Fi è meno rumorosa dei partiti di Letta e Salvini ma solo per questione di stile: si riconosce nel governo Draghi al 200 per cento. Un solo partito della maggioranza può però dire con pieno diritto, persino più della stessa Leu, che questo non è il suo governo e anzi è un governo che nei fatti veleggia in direzione opposta ai suoi dogmi: appunto il M5S. Lì non c'è acrobazia che tenga, nessuno specchio permette funamboliche arrampicate. Il governo Draghi non è neppure in parte il governo dei 5S e non può esserlo.

Non è questione di migliore o peggiore disposizione d'animo da parte del premier. Draghi non è più ostile ai 5S che agli altri partiti della sua maggioranza. È la mission del suo governo, la sfida vertiginosa che l'ex presidente della Bce ha deciso di affrontare, che spinge inevitabilmente i 5S all'angolo. Draghi ha bisogno di una ripresa folgorante e molto rapida e ciò rende inevitabile un notevole allentamento dei controlli sugli appalti, una drastica accelerazione dell'amministrazione della giustizia, un drastico sfoltimento della giungla delle regole e regolette che rallenterebbero quella ripresa.

La visione dei 5S rende invece obbligatori tempi lunghi. La fede spesso ottusa nelle regole formali, pur se poi spesso disattese al loro interno, non è un vezzo ma una chiave di volta. Tra rapidità e controlli minuziosi, spesso anche superflui o controproducenti, la logica pentastellata non può esitare. La bussola del governo Draghi, però, non può che indicare la direzione opposta.

Per quanto riguarda Conte e il suo “partito nel partito”, anzi “nel Movimento”, piove sul bagnato. Una notevole diffidenza nei confronti del premier che ha sostituito l'avvocato a palazzo Chigi ci sarebbe comunque. Figurarsi in un quadro che vede i 5S messi regolarmente all'angolo. Se non sarà la giustizia, dunque, sarà per qualche altro casus belli, probabilmente destinato a emergere al momento della legge di bilancio, in autunno. In ogni caso, comunque finisca il tentativo di mediazione tra Grillo e Conte ora, l'uscita dei contiani dalla maggioranza di qui ai primi mesi del 2022 è, se non certa, almeno altamente probabile. Cosa farà l'altra ala del Movimento e cosa sceglieranno di fare i singoli eletti non è possibile prevederlo ora, anche se è ben difficile immaginare un'uscita di Di Maio dal governo, passo che invece il contiano Patuanelli sarebbe pronto a muovere anche subito. Se e quando succederà, l'intero quadro politiche e soprattutto le sue prospettive cambieranno.

Perché senza i contiani la maggioranza anomala di oggi inizierebbe ad assumere i connotati di una maggioranza politica basata sul compromesso tra futuri contedenti uniti però dall'obiettivo di rimodellare intorno alla loro centralità gli assetti politici. Di fatto a reggere il governo Draghi sarebbe a quel punto una maggioranza Lega- Pd- Centristi e non è affatto certo che detta maggioranza non sarebbe poi tentata di confermare l'alleanza anche dopo le elezioni politiche, almeno sino al termine della sfida del Pnrr.