La “madre di tutte le riforme” rischia di partorire più di un pasticcio. E anche se non avrà ripercussioni su tutto il “globo terracqueo” qualche problemino potrebbe causarlo comunque: al corretto funzionamento di un sistema basato su un fragile equilibrio di contrappesi. Al centro delle preoccupazioni di costituzionalisti ed esponenti politici, infatti, non ci sono solo i nuovi poteri del presidente del Consiglio direttamente discendenti dalla legittimazione popolare, ma anche il ridimensionamento di altri due organi costituzionali: il Parlamento e la Presidenza della Repubblica. Ogni intervento in materia, dunque, richiederebbe una calibratura certosina per scongiurare disfunzioni democratiche.

La fretta ( di portare a casa il premierato prima delle Europee) non è mai una buona consigliera per le riforme, se è vero come è vero, che persino esponenti di spicco di Fratelli d’Italia, come l’ex ministro Marcello Perra, arrivano a definire «inaccettabile» il testo licenziato dalla maggioranza. Per non parlare di Giuliano Urbani, uno dei fondatori di Forza Italia, che ha liquidato la riforma Casellati come «una formula grezza» e senza alcun «futuro». Sarebbe il caso, forse, come arriva a suggerire persino il presidente del Senato Ignazio La Russa, di prendere «tempo per valutare ulteriori eventuali emendamenti».

Gli emendamenti al ddl sono frutto di una serie di mediazioni in maggioranza ma lasciano aperti ancora troppi spazi interpretativi che non convincono molti addetti ai lavori. Tra i passaggi cruciali finiti sotto i riflettori c’è la figura del “secondo premier”, la persona cioè che subentra nel caso in cui il presidente del consiglio eletto venisse sfiduciato. Gli emendamenti in merito non sono chiarissimi. Il testo, infatti dice che si torna immediatamente a elezioni se il capo del governo cade a seguito di una «mozione di sfiducia motivata». In caso di crisi extraparlamentare, il premier eletto può dare le «dimissioni volontarie», aprendo la strada al suo sostituto ( comunque esponente della maggioranza e non sostituibile ulteriormente) o chiedendo al Capo dello Stato lo scioglimento delle Camere. Ma una mozione di sfiducia motivata è cosa diversa dalla fiducia mancata su un singolo provvedimento. E qualora un premier non ottenesse la fiducia cosa accadrebbe? Le dimissioni sarebbero considerate atto dovuto o «volontario», come viene riportato sul testo? «Sulla questione di fiducia non c’è una specifica disciplina», spiega il professore Giovanni Guzzetta, costituzionalista favorevole alla riforma.

«Me questo è da addebitare alla circostanza che la Costituzione non prevede questo istituto. La Costituzione prevede la mozione di sfiducia che viene dal Parlamento oppure le dimissioni del Presidente del Consiglio, mentre non parla di questioni di fiducia che è una istituto introdotto in via consuetudinaria». Per questo motivo, «interpretativamente, il testo dovrebbe includere questo tipo di sfiducia tra quelle che determinano lo scioglimento automatico, perché è esattamente un procedimento identico, nella ratio, alla mozione di sfiducia» vera e propria, spiega Guzzetta, convenendo sulla necessità di un intervento chiarificatore da parte del legislatore.

Resta il fatto che le dimissioni volontarie, in seguito alle quali il premier eletto può chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere, possono trasformarsi in un’arma di ricatto potentissima nelle mani del capo del governo forte, pronto a sfidare la paura di deputati e senatori di riconfrontarsi con gli elettori. «Viene tolto al Parlamento il potere di far cadere i governi con facilità», dice ancora il professor Guzzetta. «Nel senso che si prevedono meccanismi che tutelino contro le crisi continue, che sono il mal endemico del nostro Paese. Questo è l’unico potere sottratto al Parlamento: generare una crisi che consenta poi di sostituire un governo con un altro governo». Dunque, secondo il ragionamento del costituzionalista, il potere legislativo non sarà affatto intaccato dalla riforma. Non più di quanto sia già depotenziato, almeno. L’unica prerogativa che verrà meno sarà la libertà di sostituire premier a piacimento senza passare per il voto. «Nella prospettiva di chi propone la riforma al Parlamento viene sottratto solo un potere distruttivo», argomenta Guzzetta. «Chi ha proposto la riforma considera questo un fatto positivo, non negativo. Il potere di far cadere un governo resta, ma si costringe il Parlamento ad assumersi la responsabilità, tornando di fronte agli elettori».

E sarà questo l’argomento forte anche della campagna referendaria, dietro il quale la politica proverà a nascondere anche eventuali controindicazioni contenute nel testo.