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I guai con l'opposizione sono bazzecole, oltre tutto provocati quasi sempre da un leader perennemente in cerca di ruolo e visibilità come Salvini o dalle uscite incresciose di questo o quell'incontinente Fratello. I problemi interni ci sono ma almeno quelli in emersione, come la ricandidatura di qualche presidente di Regione, si tratta per ora solo di schermaglie. Il guaio è Bruxelles e dipende da un intreccio di fattori nel quale, a tratti, Giorgia Meloni sembra essersi completamente incartata, alla ricerca di un'uscita dal labirinto che non trova e forse non esiste.
Oggi arriverà il parere della Commissione sulla legge di bilancio. Non è prevista una bocciatura sonora e neppure la richiesta di rimettere mano a questa o quella voce. Il semaforo sarà verde, però accompagnato da una sorta di monito, le tipiche “raccomandazioni” della Commissione che però stavolta potrebbero essere pronunciato con tono più stringente e imperioso del solito. Non ci vuole molta fantasia per immaginare su quali fianchi esposti quegli eventuali appunti morderanno: deficit e debito. Gli stessi tasti sui quali martellano un po' tutti.
Il giorno dopo, domani, dovrebbe essere l'ora della verità per il Mes, che approderà alla Camera, dopo una serie di rinvii imbarazzata ma anche imbarazzante. Il governo punta su un ulteriore rinvio, basandosi su un agenda dei lavori della Camera che permetterebbe si far slittare per l'ennesima volta la dolorosa decisione invocando le regole di Montecitorio e fingendo che non ci sia alcuna responsabilità da parte del governo.
Sulla carta è una mossa credibile: ci sono un paio di decreti importanti che esigono la conversione, c'è l'informativa di Tajani sull'Albania, le regole della Camera impongono in questi casi di ricalendarizzare i provvedimenti slittati in fondo alla lista. Alibi quasi perfetto. La sostanza è meno in discesa. Perché l'Europa inizia a far sentire non più solo pressione ma anche una certa esasperazione e perché l'eventuale rinvio dovrà comunque essere l'ultimo e stavolta si tratterà di settimane non di mesi.
La via d'uscita che il governo sta considerando sarebbe una formula per cui la riforma viene ratificata ma con l'impegno a non accedere mai al Mes riformato. Una chiacchiera al vento perché un governo, su una materia del genere, non può certo impegnare i governi a venire: I retroscena dicono che a puntare i piedi sarebbe Salvini e che la paura della premier, ben comprensibile, sarebbe quella di dover votare con il Pd e la sua maggioranza spaccata, con il no o più probabilmente con l'astensione della Lega. La realtà è che è proprio la premier a non essere affatto convinta e a puntare i piedi quanto Salvini.
Il Mes, eterna croce della politica italiana per questioni di sostanza ma moltissimo anche di ideologia, sarebbe un problema grosso comunque ma lo è tanto più in quanto rischia di incidere su una partita che invece è solo sostanziale e la cui importanza è massima, quella del Patto di Stabilità. L'ipotesi di una riunione eccezionale di Ecofin prima di quella già in calendario per l' 8 dicembre non è sfumata, ma è slittata dal 23 novembre alla sera del 7 dicembre: cena di lavoro.
La decisione di rinviare il vertice eccezionale fino al limite massimo significa che l’intesa su un testo di massima non c’è ancora e il problema principale è proprio l'Italia, che minaccia di non firmare la riforma del Patto di Stabilità perché il testo al quale Ecofin sta lavorando concede pochi margini all'Italia e in particolare risponde picche alla richiesta di escludere dal conto del deficit le spese per le riconversioni ecologica e digitale. Senza accordo è meglio affidarsi alla diplomazia degli incontri bilaterali: per questo Giorgetti sarà oggi a Parigi e domani, con la premier, a Berlino.
Ce ne sarebbe abbastanza per parlare di quadro ingolfato e per l'Italia pericoloso. Invece ci sono altre due voci altrettanto spinose: il Pnrr, perché la Commissione deve esprimersi sulle oltre 140 proposte di modifica avanzate dall'Italia, se non proprio una riscrittura qualcosa di molto vicino, e il nodo delle concessioni balneari. Quest'ultimo è da sempre uno dei principali contenziosi tra Italia e Bruxelles ma l'Italia è decisa a mettere a gara anche l'anno prossimo solo le spiagge libere e non quelle già in concessione. Un passo che potrebbe costare la procedura d'infrazione: la lettera di Bruxelles è già pronta.
Per districarsi in un simile ginepraio la premier italiana ha una sola carta che finora si è dimostrata sempre vincente, al punto che il verdetto di Moody's si è risolto in un outlook più positivo del passato invece che del declassamento dei titoli a livello spazzatura come pure si temeva. Oggi nessuno ha interesse nel far precipitare l'Italia in una crisi, nessuno sarebbe avvantaggiato dall'innescarsi di una spirale di instabilità a Roma, tutti devono tarare scelte e decisioni tenendo presente il ruolo che la formazione europea guidata dall'italiana potrebbe svolgere dopo le elezioni europee.
Se queste considerazioni basteranno a risolvere i guai del governo in Europa, però, è tutto da vedersi. Un segnale positivo chiaro, però, è la scelta della Commissione di prolungare fino al prossimo giugno buona parte delle misure sugli aiuti di Stato decise sotto l'infuriare del Covid. Era una richiesta sulla quale aveva insistito proprio l'Italia, come rivendica Meloni sottolineando l'importanza «di consentire una fase di uscita graduale e sostenibile dalle misure di sostegno adottate nei mesi scorsi».