Da un parte ci sono i numeri. Intoccabili, oggettivi, innegabili. E quei numeri dicono che il centrodestra ha riconfermato Veneto e Liguria, le due regioni che già governava, e ha conquistato le Marche, territorio che dopo il governo Dc era passato nel 1995 in mano al centrosinistra e lì era restato, finché un giovane deputato finito sotto accusa per una cena rievocativa della marcia su Roma non ha dato la svolta. E, se guardiamo alla Lega, quei numeri dicono anche che da 46 consiglieri regionali passa a 70, pur perdendo diversi punti in percentuale in molte regioni rispetto alle europee, soprattutto al Sud.

Dall’altra parte, però, ci sono la strategia, la dialettica e le aspettative politiche, che per l’ennesima volta in questa tornata elettorale facevano prevedere una possibile spallata della coalizione formata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, che in tutte le ultime tornate elettorali locali, ad esclusione dell’Emilia Romagna, aveva dimostrato di dominare in lungo e in largo sul territorio, nei confronti della maggioranza giallorossa. E invece s’è assistito a un pareggio, nel quale il centrosinistra, o i suoi leader sul territorio, da Emiliano a De Luca, è riuscito non solo a parare i colpi ma anche a controbattere, anche nei confronti di chi, dallo stesso fronte, cercava un’alternativa al populismo di destra e di sinistra.

Ma sotto sotto Salvini ci sperava, soprattutto in Toscana, di dare un colpo importante al governo, lanciando Susanna Ceccardi alla guida della regione. Facendo però i conti senza l’oste, che in questo caso assume le sembianze di un sessantenne affabile e cordiale, che ricorda un po’ Biden, non nasconde il passato al fianco di Bettino Craxi e ha per nome Eugenio Giani.

«Abbiamo vinto in alcune regioni e perse in altre, sarebbe stupido prendere in giro chi ha problemi reali - ha detto Salvini - Se perdi perdi, i cittadini hanno sempre ragione». E lo ha detto sapendo di non aver perso in una regione come il Veneto, e ci mancherebbe, ma osservando il risultato via via crescente della lista personale del presidente Zaia, capace di chiudere con oltre il 44% dei voti, più del doppio della Lega. «Non ho ambizioni di leadership nazionali - ha specificato il “Doge” - con Salvini ci vogliamo bene». Intanto, per non perdere il contatto con il mondo produttivo il leader della Lega ieri ha presenziato in fiera a Milano «tra artigiani, commercianti e gente per bene che traina il made in Italy nel mondo», o forse semplicemente per smaltire un pareggio che rispetto alle sue ambizioni di 7- 0 sa di quasi sconfitta.

Chi può gioire per una vittoria netta è Giorgia Meloni, anche lei sostenitrice dello slogan “Made in Italy” e che nelle Marche ha ottenuto un’altra presidenza di regione, dopo quella di Marco Marsilio in Abruzzo. «Il centrodestra governa in 15 regioni su 20 e Fratelli d’Italia è stato l’unico partito a crescere dappertutto - ha commentato l’ex ministra più giovane della storia repubblicana - Con i risultato del referendum questo Parlamento non è più rappresentativo della volontà popolare e le riforme di cui ora c’è bisogno devono essere fatte da una nuova Camera e da un nuovo Senato».

E proprio il risultato sul quesito relativo al taglio dei parlamentari non è stato preso con enfasi nelle retrovie di Forza Italia, dove in molti, da Brunetta a Baldelli, da Bernini a Mulè, si erano apertamente schierati per il No. Che ha ottenuto comunque un buon risultato rispetto alle aspettative, ma nemmeno lontanamente sufficiente a contrastare la voglia di dare un colpo al Palazzo da parte del 70% dei votanti. Il partito di Silvio Berlusconi, che in piena campagna elettorale è stato colpito da una brutta forma di Covid- 19, ha dato un contributo alle vittorie di Toti in Liguria e di Acquaroli nelle Marche, ma sembra non arrestarsi la discesa che lo vede ben lontano da quel 14% insperabilmente raggiunto alle politiche di due anni fa. «Siamo ancora decisivi ma devo ammettere che speravo in qualcosa di più», ha commentato amaro il Cavaliere, che ha votato dalla sua casa di Arcore dove è ancora in isolamento.

E possiamo immaginare che si riferisse soprattutto alla Campania, dove il candidato del centrodestra era Stefano Caldoro, forzista già presidente della Regione dal 2010 al 2015, e dalla Puglia, dove pur con il miglior risultato di Forza Italia tra le regioni al voto, il quid azzurro non è servito a portare alla vittoria Raffaele Fitto. Anche Forza Italia, così come la Lega, ha però negato la volontà di chiedere lo scioglimento delle Camere, discostandosi da Fratelli d’Italia e segnando un’incrinatura che forse, con la legislatura che ormai sembra saldamente in mano alla maggioranza giallorosa, potrebbe portare qualche problema alla coalizione di centrodestra.