Un anno fa, con l’inchiesta del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, resa pubblica dal Fatto Quotidiano, iniziò in forma ufficiale la guerra alle Ong che soccorrono i profughi nel Mediterraneo. Oggi la guerra è definitivamente conclusa: le Ong sono state sgominate e l’inchiesta si è conclusa. Nei prossimi giorni ( annuncia sempre il Fatto Quotidiano che di questa inchiesta è stato un un po’ l’ufficio stampa) verrà archiviata. Il paradosso è tutto qui: sconfitte le Ong sulla base di una inchiesta che poggia sull’acqua.

Questo paradosso però va esaminato molto bene perché è la chiave di volta per capire in cosa consista il rapporto tra Procure (alcune Procure) e giornali (alcuni giornali).

Prima di esaminare il paradosso, fotografiamo la situazione attuale. Le Ong sono quasi scomparse dal Mediterraneo, le poche rimaste sono alla deriva perché l’Italia ha chiuso i porti spingendo i naufraghi verso la Libia, la quale a sua volta è stata dichiarata dall’Onu un paese che viola sistematicamente i diritti umani sia al suo interno sia nei confronti dei migranti.

Tutto ciò ha prodotto come risultato la riduzione degli sbarchi in Italia e l’aumento dei morti in mare.

Probabilmente ha anche prodotto un aumento dei morti in Libia - anzi è quasi sicuro che sia così - ma ovviamente a questo riguardo non si hanno dati certi.

Tra le barche di soccorso che navigano alla deriva c’è anche l’Aquarius, che fa parte della assai esigua flottiglia che non si è arresa.

Attorno all’ Aquarius - che un po’ più di un mese fa fu protagonista di un’altra odissea italo- spagnola - si è scatenata una feroce battaglia politica che però ha tutto l’aspetto di essere una battaglia tra uffici di propaganda e non tra addetti ai lavori o esperti. Madrid contro Barcellona, Roma contro Napoli. A Roma c’è il ministro dei respingimenti che non vuole saperne dell’Aquarius, a Napoli il sindaco di Napoli che pretende di accoglierla. L’uno e l’altro, probabilmente, non sono molto interessati alla sorte dei profughi quanto piuttosto a un calcolo sulla propria popolarità in vista delle prossime tornate elettorali. E l’Aquarius vaga nel mare.

Nessuno sembra avere una idea chiara di come affrontare nei prossimi mesi (e anni) il problema della spinta migratoria che viene dal Sud del mondo, e preme sull’Europa, e passa per l’Italia. E di come far fronte, nell’immediato, all’emergenza naufragi, e cioè come impedire che ogni mese muoiano affogate decine e decine di persone.

Dentro questa tragedia si colloca il piccolo dramma del cortocircuito informazione-Procure. La storia di Catania, francamente, è emblematica. Perché dimostra come l’iniziativa di una Procura, ben sostenuta da una campagna di stampa, può portare a risultati (a conseguenze) clamorosi a prescindere dalla sua consistenza. La consistenza dell’inchiesta di Catania, che ipotizzava addirittura che alcune Ong fossero pagate dagli scafisti (così sostenne Zuccaro in una conferenza stampa) era pari a zero. Prove nessuna, indizi labili labili labili. Eppure la forza di questa inchiesta è stata la campagna di stampa che l’ha sostenuta per mesi e mesi, anche quando appariva ormai evidente che si era clamorosamente afflosciata.

Ancora un mesetto fa Marco Travaglio - in una rissa mediatica con Diego Bianchi, conduttore e autore di Propaganda Livesu la7 sosteneva che le responsabilità delle Ong erano acclarate. Bianchi chiese: acclarate? Da chi? E Travaglio rispose furibondo e offeso citando una gran mole di atti delle inchieste siciliane (che forse avrebbero dovuto essere segreti, ma a questi dettagli ormai la stampa, ormai da tempo per la verità, non fa molto caso). Risultato: di acclarato non c’era proprio niente e l’inchiesta si è chiusa senza che fosse trovato un solo cavillo per incolpare in qualche modo le Ong.

Qual è il problema? Che dell’andamento giudiziario di una inchiesta, della sua robustezza giuridica, del suo valore, interessa niente a nessuno. Quel che importa è il volume di fuoco (metaforico, per fortuna) che l’inchiesta è in grado di mettere in moto sui giornali.

E questo volume di fuoco è direttamente proporzionale al numero (e al peso) delle testate giornalistiche che una certa Procura è in grado di controllare e dal numero dei programmi televisivi che sono organizzati, più o meno, in sinergia con quelle testate. Il caso Ong è forse il più significativo (anche se molto simile, nello schema, a molti altri casi di processo mediatico a danno di leader politici o partiti poco graditi). Le Ong, prosciolte da ogni accusa, sono state rase al suolo (con conseguenze devastanti per i profughi: qui sta la differenza, non piccola, tra questo caso e quelli di accanimento sui politici). Il risultato, vedete, è assai superiore a quello che avrebbe potuto ottenere un Pm molto sobrio, che avesse svolto una inchiesta seria su una Ong e avesse potuto dimostrare la sua colpevolezza. Quella Ong avrebbe pagato, ma non avrebbero pagato tutte le Ong che operano sul Mediterraneo e tutti i profughi restati senza soccorso. E’ chiaro che il metodo inchiest -debole più campagna- stampa-forte produce effetti infinitamente superiori a quelli della semplice e onesta e silenziosa indagine giudiziaria con ricerca di prove.

C’è un pezzo di magistratura interessato a questo problema? E cioè preoccupato di vedere il mestiere di magistrato offuscato e messo in ombra dalla pratica dei magistrati mass- mediatici? Se c’è, questo è il momento di farsi sentire. L’inchiesta di Catania ha prodotto dei danni irreparabili, chiunque può vederlo.