Il silenzio di Elly Schlein sulla tassa per gli extraprofitti bancari e la reazione del Pd alle parole della premier sul salario minimo, tanto furibonda da avanzare addirittura dubbi sull'opportunità di presentarsi all’appuntamento di oggi, indicano chiaramente che la mossa a sorpresa della premier ha messo in difficoltà il principale partito dell’opposizione.

Sul salario minimo Meloni non ha fatto altro che ripetere quanto va dicendo da mesi, la sorpresa delle opposizioni è dunque incomprensibile. Le critiche della presidente però non sono peregrine e destituite di ogni fondamento. Sono in realtà le stesse che avanzava fino a pochi mesi fa la Cgil e che determinano ancora oggi la contrarietà della Cisl al provvedimento. Il salario minimo è oggettivamente un rischio grosso per le sorti della contrattazione collettiva e determina il rischio che al miglioramento delle condizioni dei lavoratori più poveri corrisponda il peggioramento di quelle di tutti gli altri. L’eventualità che quel salario minimo venga poi interpretato come massimo, portando così a un abbassamento dei salari per i lavoratori oggi non al di sotto di quella soglia di 9 euro lordi all’ora senza dubbio c’è.

L’opposizione è convinta che la premier stia adoperando furbescamente un’argomentazione non campata per aria al solo fine di evitare di fissare un salario minimo, comunque necessario per alcuni milioni di lavoratori che sono oggi al di sotto di quella soglia che è in realtà davvero “minima” ai fini della sopravvivenza. È possibile che sia davvero così ma c'è un solo modo di “vedere le carte”: cercare cioè una soluzione che da un lato garantisca il rispetto di quella soglia minima e dall’altro fissi paletti tanto rigidi da garantire che quella soglia non diventi anche massima, non porti cioè a un abbassamento dei salari per altri milioni di persone.

Le due strade indicate dal governo e dall’opposizione, cioè l'intervento sulla contrattazione collettiva da un lato e la definizione del salario minimo dall’altro, sono diverse ma non incompatibili. In ogni caso la sola via da battere, dopo una vittoria indiscutibile come quella conquistata dalle opposizioni impedendo che la vicenda fosse chiusa con la mannaia dell'emendamento soppressivo, può essere solo la ricerca di una mediazione tra le due strategie.

La rigidità con cui ha risposto il Pd dipende con ogni probabilità proprio dal timore di perdere una bandiera che invece si è dimostrata vincente. Del resto è proprio questa consapevolezza che spinge Meloni a una svolta come quella registrata nell’ultimo cdm: il governo di destra non può prescindere dal disagio sociale come ha quanto meno dato l’impressione di fare sinora.

È un timore comprensibile: è evidente che dal punto di vista politico il Pd e i 5S vogliano impedire al governo di tirarsi fuori dai guai grazie al dialogo sui temi sociali, o quanto meno che non intendano lasciare aperta quella via senza ottenere in cambio risultati concreti da sbandierare a propria volta.

Il caso della tassa è probabilmente più complesso. Tutti i leader si sono espressi sul punto tranne quella del Pd. Solo la sinistra di Orlando, con tutti i distinguo del caso, hanno di fatto approvato apertamente la scelta del governo.

Certamente anche in questo caso gioca la necessità di impedire al governo di restaurare a buon mercato la propria immagine sul fronte sociale ma probabilmente c'è anche qualcosa di più. A schierarsi contro la tassa, spesso con toni striduli e sproporzionati, sono stati proprio i media e le lobbies che per decenni sono stati l'habitat naturale del Pd. È probabile che all’interno di quel partito non pochi condividano in tutto o in parte il giudizio drasticamente negativo di Renzi sul prelievo. In questo caso dunque a frenare Elly sono due considerazioni: l’obbligo di non lasciare spazio “a sinistra” al governo ma anche, e probabilmente soprattutto, le tensioni interne tra l’anima tradizionale e quella “nuova” del Pd, camuffate ma mai sopite davvero.

Si tratta in entrambi i casi di elementi che in politica hanno un peso oggettivo e che nessun leader potrebbe permettersi di ignorare. Ma il rischio per la Schlein è finire ostaggio di quei pur comprensibili timori riducendo la sua sterata a sinistra a faccenda di slogan più che di sostanza.