Non è affatto certo che il governo riesca a uscire indenne dal ginepraio Mes, mercoledì prossimo al Senato, e anche in questo caso è ancor meno certo che la salvezza non implichi ferite difficilmente rimarginabili. In ogni caso, se ce la farà sarà solo grazie alla pratica ormai quotidiana di nascondere la cenere sotto il tappeto sperando che non finisca per tracimare.

Se si trattasse solo di un capitolo particolarmente spinoso, quale il Mes certamente è sia sul versante prestito anti Covid che su quello della riforma della Fondo stesso, non sarebbe un problema gigantesco. Questioni del genere, nelle quali è impossibile trovare un vero e trasparente accordo ci sono sempre. È lo scotto che qualsiasi coalizione si trova prima o poi a pagare. La nota molto dolente che il Mes è solo l'elemento più vistoso di una situazione endemica. Sul fronte del Recovery Plan la situazione non è diversa da giorni le forze di maggioranza si azzuffano non sul cosa fare ma su chi debba gestire le cose da farsi. Non potrebbe esserci viatico peggiore. Sul piano di riforme la lacerazione è totale, perché Iv e in realtà anche il Pd insistono per resuscitare la riforma Renzi bocciata dal referendum popolare, eliminando per vie appena traverse il bicameralismo. La legge elettorale era in alto mare e lì rimane. In larga parte l'emergenza sanitaria, facendo premio su tutto, permette di occultare o comunque di mantenere in ombra queste lacerazioni. Ma non è che da quel punto di vita le cose vadano molto meglio. La risoluzione di maggioranza sul decreto di Natale, mercoledì scorso al Senato, mette in chiaro la situazione. Dopo una rissa con i decibel al massimo la maggioranza si è dovuta accontentare di una risoluzione ridotta all'essenziale: «Sentite le comunicazioni il Senato approva». C'è chi spera di cavarsela allo stesso modo nella risoluzione sul Mes, mercoledì prossimo. Non va dimenticato che mercoledì scorso si trattava in fondo solo di offrire indicazioni, neppure vere decisioni delegate invece al governo, sul pranzo di Natale. Per quanto importante fosse la questione per gli italiani, non si trattava precisamente di una faccenda dalla quale dipende il futuro del Paese. È inevitabile quindi chiedersi come una maggioranza che non trova la quadra neppure a livello consultivo sul pranzo di Natale possa poi scoprirsi coesa al memento di adoperare oltre 200 mld di euro dei fondi europei, faccenda dalla quale invece dipende la sorte dell'Italia nei prossimi decenni. Lo scontro permanente tra i partiti della maggioranza si accompagna a quello negli stessi partiti. Con l'eccezione di Iv, partito del leader per definizione, le latre tre forze sono tutte più o meno lacerate. LeU non esiste: è nella migliore delle ipotesi un cartello che copre due aree molto distanti tra loro. I 5S, come proprio la vicenda Mes dimostra, sono usciti dagli Stati generali più divisi che mai e subiscono l'iniziativa di un Di Maio che, dopo essersi autonominato di nuovo leader politico, preme l'acceleratore a tavoletta verso la trasformazione del Movimento in una forza centrista non lontana dal Ppe.

Ma il Pd, che di questa sgangherata maggioranza è l'asse, non sta molto meglio. C'è chi lavora per il rimpasto e chi almeno in apparenza invece frena, e si tratta nell'ordine del vicesegretario e del segretario del partito. C'è chi insiste per rimodellare gli equilibri della maggioranza, magari facendo sponda con Fi, e chi mira a blindare la situazione data, nella convinzione che altrimenti tutto verrebbe giù come un castello di carte. C'è di tutto tranne che una visione progettuale e strategica del futuro.

Non ci sarebbe da sorprendersi. Il governo Conte 2 è nato sull'onda di una sola esigenza, sbarrare la strada a un Salvini allora travolgente, e con un solo obiettivo, cavarsela senza infamia e senza lode, bordeggiando e magari sfruttando la bonaccia per costruire qualcosa di simile a una coalizione per le prossime elezioni. Si è trovato alle prese con un'emergenza di portata storica e si trova ora a dover gestire due operazioni titaniche: la vaccinazione di massa e il Recovery italiano. Sul fronte sanitario se l'è cavata esautorando il Parlamento, realizzando una centralizzazione quali mai se ne erano viste rime di ruoli e poter a palazzo Chigi e, nella pratica, trincerandosi dietro la strategia più semplice, quella delle chiusure più o meno dosate. Quando ha provato a smuoversi da questa roccaforte, tra settembre e ottobre, l'esito è stato tragico.

La situazione imporrebbe dunque un cambio radicale di passo, Non un rimpasto come quello a cui mirano Renzi e una parte del Pd, il cui obiettivo principale è indebolire un Conte accusato, non a torto, di aver troppo centralizzato nelle proprie mani le decisioni reali ma la revisione del dna stesso del governo, e della sua composizione, per renderlo adeguato al compito difficilissimo che lo attende nel 2021 e che non è n tutta evidenza in grado, per ora, di assolvere. Con ogni evidenza solo il Pd potrebbe assumersi la responsabilità di indicare questa strada, perché con tutti i suoi limiti è la sola forza della maggioranza che abbia ancora una qualche struttura. È la vera sfida che attende Zingaretti. Se non la ingaggerà i giochi di potere e i calcoli politici di modesto cabotaggio contnueranno ad avere la meglio, il governo potrà tutt'alpiù tirare a campare in una fase in cui nulla sarebbe più esiziale e alla fine, anche solo ' campare' diventerebbe probabilmente impresa troppo ardua.