Non ci sarà alcun referendum sull’Italicum. La raccolta firme per indire una consultazione popolare sul sistema elettorale non sembra essere andata a buon fine. Bisognava raccogliere almeno 500 mila sottoscrizioni entro la mezzanotte del 4 luglio, data ultima per la consegna alla Corte di Cassazione, ma lo sforzo sembra essere stato vano. «I conteggi sono ancora in corso», ci spiega Massimo Villone, presidente del Comitato promotore, poco prima del verdetto definitivo. Ma ammette: «Certamente ci muoviamo sul filo, su un numero alto di firme che non è detto siano sufficienti». E infatti, al momento, sembra che i referendari non siano riusciti ad andale oltre le 450 mila firme. Del resto, che sarebbe stato arduo portare a termine la missione era facilmente intuibile. Soprattutto nelle ultime settimane, quando è diventato palese che una delle forze più ostili all’Italicum si sarebbe sfilata dalla “battaglia”. Il Movimento 5 stelle, infatti, ha cambiato improvvisamente idea sulla legge elettorale, spiazzando buona parte degli osservatori. Il successo delle Amministrative ha convinto grillini a mutare la prospettiva. «Hanno parlato per tre mesi di referendum, Olimpiadi e direzioni di partito. E così hanno perso le elezioni a Roma e Torino. Non contenti, il giorno dopo la sconfitta, hanno iniziato a parlare di modifiche alla legge elettorale, ovvero di come spartirsi le poltrone alle prossime elezioni politiche», ha scritto su Facebook, pochi giorni fa, Luigi Di Maio, dettando nei fatti la nuova linea del Movimento 5 stelle, poi corroborata anche da un post sul Blog di Beppe Grillo. «La Camera ci costa 100.000 euro all’ora (avete letto bene) e il Pd vuole spendere questi soldi per cambiare l’Italicum. Facciano pure ma quando vorranno tornare sulla terra, gli mostreremo quali sono le priorità per l’Italia».Con queste premesse è difficile immaginare che grillini si siano impegnati fino in fondo nella raccolta firme. «Per quello che ho visto, ai banchetti gli attivisti 5 stelle erano sempre presenti», ci tiene a sottolineare Massimo Villone, che però dice di non aver seguito quotidianamente la campagna di raccolta. Militanti a parte, chi si è visto poco in giro, di certo, sono i big del partito pentastellato, quelli che di solito mettono la faccia e che in questa occasione hanno preferito una posizione defilata. «Sì, ma alla fine contano gli attivisti, quelli che mettono le gambe per terra, senza i quali il risultato sarebbe comunque irraggiungibile», continua il presidente del Comitato promotore.Ma cosa chiedevano i referendari? L’abolizione dei capilista bloccati e il premio di maggioranza. Due aspetti della legge elettorale che a ottobre potrebbero essere comunque messi in discussione dalla Corte costituzionale, chiamata a esprimersi sull’ammissibilità dei ricorsi contro l’Italicum. «La Consulta si esprimerà costituzionalità della legge», spiega Villone, «il nostro referendum guardava al merito e alle scelte politiche, non c’è un’interferenza tra le due cose. Però è possibile che per una parte di pubblica opinione quest’aspetto non sia stato abbastanza chiaro». Chi ha capito perfettamente come stanno le cose, invece, sono i partiti, terrorizzati da una possibile vittoria dei 5 stelle proprio grazie al sistema elettorale introdotto da Renzi. Il problema sta tutto nel premio di maggioranza che, prescrive dall’Italicum, verrà assegnato alla lista e non alla coalizione vincente. Un meccanismo che sembra concepito per favorire il partito di Grillo, unica forza indisponibile all’apparentamento con altre sigle politche. E in Parlamento, ormai, sono in tanti a chiedere di rimettere mano alla legge: dalla minoranza Pd a Forza Italia, passando per Sinistra italiana e Nuovo centrodestra. Matteo Renzi, però, preferirebbe non toccare nulla prima del referendum costituzionale. L’obiettivo è non prestare il fianco a Beppe Grillo che - dopo mesi di campagna contro l’Italicum - oggi accusa il premier di voler «cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere. Un baro da due soldi e con la coda tra le gambe».