Onorevole Mulè, dopo il passo “di lato” dei benzinai, cosa

resta della tempesta che ha investito la maggioranza negli ultimi giorni sul tema delle accise?

È stata una tempesta legata a un certo tipo di fare comunicazione e alle conseguenti interpretazioni. Certe comunicazioni, se fatte troppo in fretta, spesso vengono strumentalizzate da chi fa opposizione e ricondotte a un dissidio interno alla maggioranza che in realtà non c’è. Quando da Forza Italia diciamo che bisogna sostenere le famiglie e non andare avanti con lo scontro sule accise

portiamo semplicemente avanti la linea del governo. Ma accusare i benzinai di essere degli speculatori sulla pelle degli italiani è stato un errore. È una tempesta non dico autoindotta ma generata da questo modo di comunicare tutto in maniera veloce, tale da provocare un cortocircuito.

Accusate l’opposizione di aver strumentalizzato ma sono stati alti esponenti del governo i primi a parlare di speculazioni sul mercato dei carburanti, fino alla sciopero annunciato dai benzinai. O no?

Sullo sciopero ci deve essere un chiarimento che è già partito,

tant’è che lo è stato congelato e sono sicuro che verrà ritirato

quando spiegheremo che nessuno vuole andare contro i benzinai. Tuttavia occorrerà intervenire laddove ci fossero aumenti dei prezzi che obbligherebbero il governo a riportare il prezzo alla pompa sotto i due euro al litro. L’opposizione, non avendo argomenti e capacità di indicare una strada alternativa al governo, non fa altro che approfittare di queste discrasie comunicative cercando di mettere zizzania nella maggioranza dove non c’è.

La presidente Meloni ha più volte ricalibrato le affermazioni, con tanto di video “agenda” in cui ha provato a spiegare la linea del governo: anche lei ha sbagliato strategia comunicativa?

Il problema è che si è fatta di tutta l’erba un fascio.

Singoli fenomeni speculativi ci sono stati e sono certificati. Ma è passata una comunicazione erga omnes quando invece, cum grano salis, bisogna comunicare dicendo le cose come stanno. E cioè che non ci sono capri espiatori da trovare. C’è una situazione chiara da gestire assieme ai benzinai, non contro. Al fallo di reazione dello sciopero si deve passare ora al terzo tempo, cioè al definitivo chiarimento.

Nelle prossime settimane il governo si troverà a discutere del Pnrr, visto che entro l’estate si dovranno raggiungere gli obiettivi previsti, pena la mancata erogazione dei fondi. Salvini martella sulle infrastrutture, mentre voi puntate sulla sanità: qualcuno rimarrà a secco?

Il Pnrr non è una gara nella quale vince la sanità rispetto alle

infrastrutture o la digitalizzazione rispetto ad altre missioni. È

un progetto comune che deve andare avanti insieme. Poi certo ci sono alcune opere che hanno l’obbligo di essere riviste, perlomeno nei prezzi, perché altrimenti le gare vanno deserte. Se dobbiamo rinunciare a dei progetti lo faremo, ma senza danneggiare una parte della maggioranza. In gioco c’è il futuro del paese. Se una cosa prima costava dieci e ora quindici è ovvio che non si potranno portare a termine tutti i progetti previsti così come sono. Per questo con la commissione europea dobbiamo rivedere alcuni capitoli,

senza chissà quale rinegoziazione.

A proposito di questioni europee, il governo sembra ora

intenzionato a ratificare il Mes come voi chiedete da tempo, con Fratelli d’Italia e Lega che non ne volevano sapere. Si è passati alla ragionevolezza?

La ratifica e l’uso del Mes sono due momenti diversi e non

sovrapponibili. C’è un primo momento che, per obbligo di

responsabilità, porta l’Italia e il Parlamento a dover ratificare

l’accordo sul Mes. C’è poi un secondo momento che è quello

relativo all’attuazione del Mes, che però è successivo. In questo momento si discute della ratifica, che va fatta. Perché altrimenti non saremmo europei e saremmo un’eccezione non tollerata nella grammatica europeista. Nessuno dice, noi per primi, che il Mes come è pensato adesso è uno strumento del quale l’Italia si può far carico. Ma intanto ratifichiamolo e dimostriamo responsabilità, poi vedremo. Di certo oggi non abbiamo necessità di accedervi.

Altro capitolo fondamentale del Pnrr è la giustizia: in questi giorni si discute molto di abuso d’ufficio, con una parte della maggioranza che vorrebbe abrogare la norma e un’altra che vorrebbe alcune modifiche. Come se ne esce?

Mi rifaccio a quel che ha detto ieri Roberto Pella ( deputato di

Forza Italia e già vicepresidente dell’Anci) su queste colonne. Le sue parole non obbediscono a un pensiero politico ma a quello di un amministratore che meglio di ogni altro ha provato sulla sua pelle quella che è la realtà. Per questo dico che quella sull’abuso d’ufficio non può essere una riforma “un po’ e un po’”. Occorre tipizzare il reato in maniera che non ci siano spazi interpretativi e vi sia al contrario la certezza di scacciare l’attuale “paura della firma”. Se rimane anche solo l’alone di un possibile interstizio che permetta alla Magistratura di piegare la norma in maniera diversa non avremo fatto il nostro dovere.

Eppure dalla Lega arrivano richieste diverse, in primis per

bocca di Giulia Bongiorno.

So benissimo che nella maggioranza ci sono sfumature e sensibilità diverse. Ma dev’essere chiaro che non si può lasciare una norma con margini di interpretazioni che non permettono di risolvere il problema. Non serve una riforma a metà, serve invece una riforma che esaustiva e che abbia carattere di definizione totale. Non c’è bisogno di una riformicchia, ma di una riforma coraggiosa che vada in

profondità.

Come la “Cartabia”, che in queste ore sta subendo un

attacco concentrico: la modificherete?

Sulla giustizia non ci possono essere le curve di tifosi tra

garantisti e giustizialista. La riforma Cartabia come tutte le

riforme può essere aggiustata. Quel che conta è il principio, poi se nel principio ci sono chiarimenti da fare si faranno ma

l’importante è non gettare il bambino con l’acqua sporca.

Ripartire da zero non sarebbe giusto e soprattutto non sarebbe sovrapponibile al programma di coalizione.