Mi si nota di più se firmo o non firmo? Parafrasando Ecce Bombo, i referendum della Cgil sul Jobs Act stanno al Pd come la celebre festa sta a Nanni Moretti. Che alla fine della telefonata decide di andare, come Elly Schlein ha infine deciso di apporre il suo nome sui quesiti lanciati da Maurizio Landini per abrogare una delle riforme simbolo del governo di Matteo Renzi. E quindi del Pd di allora.

Ma la libertà di coscienza lasciata dalla segretaria dem, che da par suo non poteva fare altrimenti che firmare, visto che uscì dal partito in polemica con quella riforma per poi fare campagna elettorale contro quel testo, sta provocando in tanti parlamentari e dirigenti dem quello che per Moretti era “il dilemma dell’apparire”, e che per i democratici si è trasformato nel “dilemma del firmare”. Oppure no.

A mettere benzina sul fuoco c’è poi lo stesso Renzi, che ieri ha attaccato frontalmente la decisione della segretaria, che «vuole abolire una legge del Pd che ha creato più di un milione di posti di lavoro e che ha esteso i diritti a cominciare dal divieto di dimissioni in bianco per le donne in gravidanza». Ma soprattutto, insiste il leader di Iv, «Elly Schlein con questa scelta ha definitivamente cambiato il Pd: chi vota il Pd, vota Cgil». E come sempre è poi arrivata la stoccata ai riformisti dem, i quali hanno già fatto sapere a più riprese che non li firmeranno, quei referendum, e dunque hanno una posizione opposta, come spesso accade, a quella della loro segretaria.

«Potete pure scrivere il nome di un candidato riformista sulla scheda: i voti andranno comunque a un gruppo dirigente che preferisce il reddito di cittadinanza e i sussidi rispetto al JobsAct e a Industria 4.0 - aggiunge l’ex presidente del Consiglio - Chi ha votato quelle leggi, con quale faccia sta in un partito che organizza i referendum per abrogarle? Amici riformisti, ma come potete stare in un partito che vuole distruggere il lavoro che avete fatto? Quando avrete un sussulto di dignità? O davvero la speranza di una ricandidatura vi impedisce di difendere le vostre idee?».

La risposta è arrivata direttamente da chi quell’area riformista, che minoranza nel partito, la guida in prima persona, cioè Stefano Bonaccini. «Renzi dice che Pd perde la faccia? Ma no, noi non ci schiacciamo su proposte che vengono da altri - ha provato a spiegare il presidente dell’Emilia-Romagna - Liberamente chi vuole nel Pd può firmare i referendum della Cgil ma noi dobbiamo stare sulle battaglie in Parlamento e le opposizioni, lo dico anche a Renzi, dovrebbero portarle avanti insieme». Poi Bonaccini prova a buttare la palla in tribuna, chiedendo di evitare «di schiacciare il dibattito su una iniziativa referendaria - legittima, ci mancherebbe - da parte della Cgil», perché «come ha chiarito la segretaria Elly Schlein, il partito non si schiera su autonome iniziative di altri – su cui ciascuno è libero di firmare o meno sugli specifici punti – ma si unisce sulle nostre battaglie da portare in Parlamento e davanti ai cittadini».

A partire dalla battaglia sul salario minimo, che «sarebbe una novità per l’Italia» ma sulla quale come si sa la maggioranza è unitamente contraria. Renzi non si è fatto scappare l’occasione e ha controrisposto. «Voglio bene a Stefano Bonaccini, ha coordinato la mia campagna elettorale nel 2013, dove abbiamo lanciato Jobs Act, copiando dal messaggio di Obama - ha replicato il senatore di Firenze - Ma dico con molta chiarezza: Stefano, ti vogliamo bene, capisco che sei in campagna elettorale e devi tenerti buona Schlein, che per una candidatura si deve fare i bravi e tenere i toni bassi, già la Schlein non ti ha fatto fare il terzo mandato alla Regione Emilia Romagna, ma non ci stare a prendere in giro».

Ma il dilemma del firmare sta colpendo più intensamente Andrea Orlando, che è stato ministro del Lavoro e che quindi è spesso chiamato in causa in prima persona. «Sto riflettendo se firmare per il referendum sul Jobs act, francamente penso che i parlamentari, avendo altri strumenti, possono anche esimersi dal firmare per un referendum - ha detto l’esponente dem - Intanto diciamo che non sono referendum solo sul Jobs act perché su quattro quesiti due non lo riguardano». Dopodiché «le firme possono servire ad aiutare il Parlamento, come è avvenuto in altre occasioni, ad affrontare questo tema» ma, conclude “pilatescamente” Orlando, «credo che a questo punto firmare o no per il referendum, almeno nel mio caso, sia irrilevante perché ho presentato un disegno di legge in questa legislatura per modificare in larga parte, proprio in coincidenza con i punti affrontati ora dal referendum, la normativa».