«Sono rimasta basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania». La giornata della presidente del Consiglio Giorgia Meloni inizia con un attacco frontale su Facebook a Iolanda Apostolico, la giudice catanese che venerdì scorso ha deciso di non convalidare i provvedimenti di trattenimento emessi dal questore di Ragusa nei confronti di tre cittadini tunisini richiedenti asilo, rilasciandoli in attesa della definizione della domanda. Nei fatti è una disapplicazione del decreto Cutro, varato dal governo nel marzo scorso, ritenuto dalla magistrata contrario al diritto dell’Unione europea.

Ma per Meloni quella sentenza è un affronto. Perché per la premier rimettere «in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione» e dichiarare «unilateralmente la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura)» non significa semplicemente applicare le leggi, ma scagliarsi «contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto». Un atto di lesa maestà, dunque. Roba da sabotatori della patria, a voler seguire il ragionamento della leader di Fd’I, convinta ci sia «un pezzo di Italia» che «fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale».

Parole pesantissime, quelle della premier, che riaprono un conflitto con la magistratura già inaugurato nel luglio scorso, quando “fonti di Palazzo Chigi” presero di mira Emanuela Attura, la gip dell’imputazione coatta al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, in relazione al caso Cospito. Un attacco diretto che spinse Area Dg, la corrente progressista all’Anm, a depositare presso il Comitato di presidenza del Csm una pratica a tutela della collega diventata bersaglio del governo. E oggi una pratica analoga, ma stavolta trasversale tra le correnti (al momento mancano solo le firme di Mi), verrà depositata a tutela di Apostolico, esposta dalla premier a una «grave delegittimazione professionale» e «a indebiti attacchi mediatici aventi a oggetto la sua sfera personale».

Il copione dunque si ripete adesso, con l’Anm catanese che respinge «con sdegno le accuse» rivolte a «Iolanda Apostolico, persona perbene che ha lavorato nel rispetto delle leggi» e ricorda come «il rapporto tra potere esecutivo e giudiziario andrebbe improntato a ben altre modalità».

Il governo però non sembra affatto intenzionato a cambiare registro e a mollare la presa su una materia così identitaria come l’immigrazione. E dopo la premier, tocca al suo vice, Matteo Salvini, l’uomo dei porti chiusi, rincarare la dose: «Le notizie sull’orientamento politico del giudice che non ha convalidato il fermo degli immigrati sono gravi ma purtroppo non sorprendenti», dice il leader della Lega, riferendosi a quanto riportato dal Giornale, secondo cui nel 2018 Apostolico avrebbe condiviso sulla sua bacheca Facebook una petizione per chiedere «una mozione di sfiducia» nei confronti dell’allora ministro dell’Interno. «La Lega chiederà conto del comportamento del giudice siciliano in Parlamento», insiste Salvini, «perché i tribunali sono sacri e non possono essere trasformati in sedi della sinistra», aggiunge, senza entrare neanche per sbaglio nel merito della questione. Non solo. Il Carroccio annuncia pure un’interrogazione al ministro della Giustizia al Senato per approfondire la vicenda della giudice che non ha convalidato il fermo dei migranti.

La diretta interessata, Iolanda Apostolico, pur interpellata dagli organi di stampa, sceglie di non entrare nella polemica, né nel merito della vicenda. Il provvedimento, del resto, è impugnabile con ricorso per Cassazione - che il ministro dell’Interno ha già annunciato di voler presentare - e non tocca a lei difenderlo. I giudici parlano solo con le sentenze quando fanno bene il loro mestiere. La questione, fa comunque sapere Apostolico, è di carattere giuridico, non può travalicare nel personale.

E se la maggioranza si compatta contro il nuovo “nemico interno”, l’opposizione replica in ordine sparso. «Giorgia Meloni la smetta di alimentare lo scontro istituzionale che danneggia il Paese», dice la segretaria del Pd Elly Schlein. «La smettano di cercare un nemico al giorno per nascondere le proprie responsabilità. Se cercano responsabili del disastro sull’accoglienza si guardino allo specchio: è la destra che scrive leggi palesemente incostituzionali e poi se la prende con i giudici che fanno il loro lavoro», tuona la leader dem. Che poi aggiunge: «È la destra che ha messo la firma su tutte le leggi che hanno prodotto questo caos, come la Bossi-Fini che alimenta l’irregolarità», dice Schlein, omettendo però di elencare tutti i provvedimenti di natura simile, in materia di immigrazione, di certo non ascrivibili all’attuale maggioranza: dalla legge Turco-Napolitano, al Memorandum Italia-Libia di “minnitiana” memoria.

Ma se Schlein ci mette la faccia, Conte preferisce sorvolare sulla questione. Sull’immigrazione, del resto, il M5S ha sempre mantenuto una posizione ambigua e solo due giorni prima l’ex premier aveva polemizzato coi dem, colpevoli «di pontificare da una Ztl sulla necessità dell’accoglienza».

Intanto oggi è il decimo anniversario dalla strage di Lampedusa, dove persero la vita 368 persone - uomini, donne e bambini - a pochi metri della spiaggia dei Conigli. Dieci anni dopo, l’immigrazione resta ancora una bandiera di propaganda.