Freschi di faticose vacanze i ministri sono tornati al lavoro, con sul tavolo una massa di missioni impossibili. Non che fosse possibile sciogliere nel primo Cdm post estivo anche uno solo dei nodi emersi nell'ultimo mese. Però al momento non sembra che siano in campo neppure vaghe ipotesi in grado di fronteggiare quelle emergenze. Alcune difficoltà erano già note da mesi, anche se la contingenza le ha rese un po' più aspre. Altre erano meno prevedibile.

Era chiaro, per esempio, che la legge di bilancio, a ridosso di una ridefinizione del Patto di stabilità che per l'Italia è una minaccia a lungo raggio, sarebbe stata un grosso problema. «Il primo appuntamento che abbiamo davanti è la scrittura della legge di bilancio, la più politica tra le leggi che un governo possa fare», ha detto la premier Giorgia Meloni in apertura di Cdm, chiedendo ai suoi ministri di «di far tornare il più possibile la politica», perché non siamo davanti a «una semplice spending review o un elenco di voci da tagliare». Certo, «sprechi e inefficienze devono essere tagliati», ma «le poche risorse che abbiamo devono essere spese al meglio, perché questo è un governo politico e i governi sono politici se scelgono e si assumono le loro responsabilità».

Su dove indirizzare gli scarsi fondi a disposizione, a parte la conferma del taglio del cuneo fiscale che per il governo non è un'opzione ma di fatto un obbligo, si comincerà a parlare solo dopo l'incontro con i gruppi di maggioranza del 4 settembre, e ci sono pochi dubbi sul fatto che emergeranno pareri del tutto discordi. Con una coperta molto corta e che non si può allungare facendo debito perché la ricaduta sulla trattativa per le nuove regole europee sarebbe esiziale, è inevitabile che sia così. Come reperire quei fondi invece è un tema il governo affronta già da ora e le divisioni che si registrano sono profonde anche su questo versante.

Forza Italia, che deve riaffermare subito il proprio peso anche dopo la scomparsa del gran capo, punta i piedi sull'aumento delle pensioni minime. Quindi propone di pirvatizzare i porti, o come ha precisato Tajani, alcuni settori portuali. Salvini cestina la proposta, l'azzurro insiste e il braccio di ferro è destinato a proseguire anche se è probabile che alla fine la spunti il leghista, essendo l'ipotesi della privatizzazione poco gradita anche a Chigi e al Mef.

Già, ma resta inevasa la domanda sul come trovare quei soldi. Il viceministro Leo, che in materia è espertissimo, si sta rompendo la testa per ricavare qualche miliardo da un intervento con la scure sulle detrazioni fiscali. È un'impresa quasi sovrumana. Le fasce che verrebbero colpite, di fatto, da un aumento non confessato della pressione fiscale a loro carico sanno come farsi sentire dai partiti della maggioranza, e in modo piuttosto imperioso. Tutto può essere ma che proprio la trovata di Leo permetta di quadrare il cerchio non sembra facile.

I problemi della manovra erano prevedibili, anche se i dati inferiori alle attese dell'ultimo trimestre rendono anche più arduo del previsto far quadrare i conti. Non era invece previsto il guaio grossissimo delle accise che mette il governo di fronte a un bivio. Tutto, inclusi gli impegni assunti, dovrebbe spingere verso il taglio. Preme in quella direzione Salvini, che certo non vuol perdere l'occasione di lucrare ai danni della premier in termini di immagine. Però quegli extraprofitti sono la sola copertura vera sulla quale il governo può contare. Per ora Meloni resiste ma la partita sarà lunga, soprattutto se quella dei rincari non si rivelerà una ventata estiva.

L'ultimo dossier che ha scottato le dita dei ministri è quello dell'immigrazione, il più identitario di tutti per la destra e quello che va peggio di tutti. Salvini reclama un nuovo decreto sicurezza e certamente lo otterrà. Il ministro Piantedosi lo sta già preparando, ma il problema è che nessun decreto basta a sanare una situazione che l'Italia da sola non può sanare. Le partenza dalla Tunisia continuano a moltiplicarsi e nessun accordo basterà a fermarle senza l'intesa con il Fmi necessaria per salvare la Tunisa dal default. Ma su quel piano la premier italiana non è riuscita a sfondare a Washington, nonostante gli abbracci e gli elogi sperticati di Joe Biden.

Allo stesso modo, come ha riconosciuto lo stesso capo dello Stato nel suo durissimo monito rivolto al governo dalla festa di Cl a Rimini, senza una strategia comune europea l'accoglienza resterà un problema irresolubile, con tutto quel che ne deriva per le amministrazioni al collasso. È dunque inevitabile che l'Italia provi a spostare la trattativa di nuovo sul piano europeo, che è però già straripante di problemi, dalla rimodulazione del Pnrr al nuovo Patto di stabilità. I guai del governo sono già innumerevoli, ma in buona parte possono essere sciolti solo a Bruxelles.

Ma certo, se l'Italia arrivasse almeno alla trattativa sull'immigrazione con una proposta come quella indicata quasi nel dettaglio da Sergio Mattarella la partita sarebbe almeno un po' più facile.