Al debutto, era solo un anno fa, eguagliò d’un colpo il picco massimo mai raggiunto dal suo predecessore, e chissà se Luigi Einaudi quando nel 1949 ebbe l’idea di rivolgere un messaggio di fine anno agli italiani via radio avrebbe mai pensato che si potessero poi avere 10 milioni di cittadini all’ascolto. Con il discorso di fine anno, non è solo il presidente della Repubblica ad entrare a reti unificate nelle case degli italiani: sono soprattutto gli italiani - quei 10 milioni - ad entrare nella casa del presidente. Una volta l’anno - e sarà un caso che il Quirinale ha già anticipato le linee - guida del discorso, ma circonfuso di massimo riserbo la location - il presidente si rivolge direttamente agli italiani, ed è quello il momento in cui la mise en scene, la rappresentazione che l’istituzione dà di se stessa, determina la percezione che dell’istituzione stessa avranno i cittadini. Nel caso di Mattarella il presidente del popolo, una sorta di Pertini in versione soavemente conciliante e quasi affettuosa che entrò al Quirinale a piedi, e che al suo primo discorso di fine anno irritualmente scelse un angolo privato della fortezza quirinalizia - è vero al quadrato: il presidente incarna la Repubblica italiana - è un po’ il modello Windsor, si potrebbe dire - e Mattarella, in particolare, incarna gli italiani. O per meglio dire: come vorrebbe che gli italiani fossero. Anche quando il suo discorso è squisitamente politico, come nel caso dell’incontro prenatalizio con le alte cariche dello Stato o i diplomatici stranieri, o nella cerimonia del Ventaglio che gli viene offerto dai giornalisti parlamentari, Mattarella è sempre anzitutto ai cittadini che si rivolge, sono sempre gli italiani che ha in mente.

Allo stesso modo, vive la Repubblica - l’istituzione - come il volto che, anche inconsapevolmente, i cittadini incontrano ogni giorno. Ospedali, municipi, scuole, tribunali sono nella vita quotidiana degli italiani. E sono il volto quotidiano delle istituzioni, ricorrendo frequentemente nei suoi discorsi. Pensa che gli italiani debbano riscoprirsi e viversi come comunità, un senso che si va perdendo, e pochi giorni fa a sorpresa ha quasi inventato una nuova onorificenza, premiando al Colle 40 perfetti sconosciuti impegnati nel sociale o esempi di civiche virtù.

Quando stasera parlerà del Paese «sfibrato» - sempre secondo le indiscrezioni del discorso - i luoghi saranno quelli della ' grande questione sociale', terremoti e solidarietà, lavoro e giovani, migranti e sicurezza, banche e risparmiatori, tutte problematiche impossibili da affrontare se la politica continua a guardarsi l’ombelico ( anche se di certo Mattarella non si esprimerà in questi termini...) e se non riuscirà a trovare e a darsi la capacità di un dialogo costruttivo.

Non si tratta di sopire e troncare, troncare e sopire allontanando manzonianamente il fuoco dalla paglia, come in passate stagioni. Il ruolo del presidente è e resta eminentemente politico. Mattarella ha già detto agli italiani che il governo Gentiloni è saldamente in sella, e lì resterà «nella completezza delle sue funzioni» finché avrà la fiducia del Parlamento. Stretto il patto con il neopremier, resta quello sottotraccia con l’ex premier. Abbiamo davanti un «orizzonte di elezioni», come dice Mattarella, che porti ad essere maggiormente in linea con «gli orientamenti del corpo elettorale». Il capo dello Stato è consapevole della necessità di andare ad elezioni ( come chiede Renzi), ma questo non é possibile finché non vi sarà una legge elettorale capace di dare al Paese una maggioranza certa. Solo in quel momento il capo dello Stato eserciterà il potere dello scioglimento delle Camere.