Marco Tarchi, politologo e professore ordinario di Scienza Politica a Firenze, spiega che «nel caso di un governo “politico” a guida Draghi non mancherebbero imbarazzi nella Lega e nel Pd», ed è convinto che Salvini sia pronto ad accettare Draghi «pur di farsi riconoscere una legittimità a guidare un ipotetico futuro governo di centrodestra».

Professor Tarchi, il presidente incaricato Mario Draghi sta ultimando le consultazioni. Crede riuscirà a essere sostenuto da una maggioranza ampia che va dal Pd alla Lega, dal M5S a Forza Italia?

Penso di sì, vista la retorica dell’emergenza che è stata adottata per legittimare il suo incarico. Non saranno molti quelli che se la sentiranno di sfidare la riprovazione massmediale che è pronta ad abbattersi sui renitenti all’appello del Presidente della Repubblica, lanciato con toni tanto allarmistici. Tuttavia qualche dissenso permarrà, soprattutto nel M5S, e molti leghisti digeriranno a fatica la forzata convivenza con il Pd nell’eventuale maggioranza.

Come potrebbe accogliere Draghi il sostegno della Lega che non solo è il partito sovranista e antieuropeista per eccellenza ma non ha nemmeno votato per l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea?

Gli imperativi del pragmatismo varranno anche per lui, dato che Mattarella ha chiesto a tutte le forze politiche di mettersi a sua disposizione. Se escludesse la Lega, verrebbe meno a una delle premesse ufficiali dell’incarico che ha ricevuto. E si è già capito, nelle ultime settimane, che Salvini è disposto a fare dietrofront rispetto alle polemiche del passato contro l’Unione europea, pur di farsi riconoscere una legittimità a guidare un ipotetico futuro governo di centrodestra. Anche se credo che questa eventualità gli verrebbe preclusa dai suoi ipotetici alleati centristi, che tutto vorrebbero fuorché vederlo insediato a palazzo Chigi.

L’eventuale sostegno della Lega a Draghi potrebbe essere la svolta per un avvicinamento del Carroccio al Partito popolare europeo, come auspicato da tempo dal vicesegretario Giancarlo Giorgetti?

Se la Lega intende suicidarsi, deludendo gran parte dei suoi elettori e puntando a diventare una sorta di brutta copia di Forza Italia, sì. Se invece intende proseguire a raccogliere consensi fra coloro che la vedevano, a torto o a ragione, come una forza alternativa al sistema partitocratico, prima o poi dovrà costringere Giorgetti a confluire nel suo ambiente naturale, liberale e centrista. La Lega di Salvini ha ottenuto suoi successi maggiori puntando su parole d’ordine, atteggiamenti e mentalità populisti e di protesta. Un ripiegamento sul fronte moderato e neodemocristiano la penalizzerebbe fortemente a livello elettorale: i dieci punti percentuali persi fra le settimane successive al grande risultato delle europee e oggi sono un indicatore molto significativo.

La scelta di Draghi sta mettendo in difficoltà molti partiti, dal M5S alla Lega stessa. Crede che la scelta tra governo “politico” e “tecnico” possa sopire o al contrario alimentare i dissensi interni?

A parte i Cinque stelle, che sperano - se invano o no, lo vedremo presto - di poter conservare nel nuovo esecutivo una posizione di preminenza relativa richiamandosi all’attuale maggior numero di deputati e senatori, per gli altri partiti una scelta di profilo pressoché integralmente tecnico sarebbe un toccasana, perché consentirebbe di digerire più agevolmente una scelta destinata a non riscuotere l’unanimità al proprio interno. Nel caso di un governo a dominante politica, sia nel Pd che, ancora di più, nella Lega non mancherebbe di farsi sentire, nel medio termine, un certo imbarazzo.

A livello di tattica politica, ritiene che Renzi abbia ottenuto una vittoria piena o la scelta di aprire la crisi in piena pandemia è stata comunque sbagliata?

Se Renzi, e gli ambienti economici che gli stanno accanto o dietro, volevano arrivare a questo tipo di svolta - e non mi sembra un’ipotesi necessariamente infondata -, l’esito della crisi segnerebbe un successo netto per l’ex presidente del Consiglio. In ogni caso attraverso la crisi è riuscito a eliminare Conte dalla posizione di vertice che occupava, e per il suo ego dev’essere stato un momento di grande soddisfazione.

Tuttavia sembra che proprio Conte con le sue parole si sia proposto come “padre nobile” dell’alleanza Pd/ M5S. Crede possa finire cosi?

Non ne sono affatto certo. Che punti a guidare il M5S, non c’è dubbio - ma non è detto che, a emergenza finita, riesca nell’intento. Il Pd ha certamente altre prospettive e si serve del consenso attorno al suo nome come di un temporaneo espediente per dare l’impressione che la coalizione ora uscente possa avere chances di rivincita. Una volta che i Cinque stelle si saranno ridimensionati nelle urne, lo spartito cambierà.

Oggi Grillo guiderà la delegazione del M5S, ieri Berlusconi doveva guidare quella di Forza Italia salvo rinunciare per precauzione. Pensa che i leader stiano in un certo senso “sfruttando” il momento mediatico di Draghi per tornare al centro della scena?

Alcuni di loro ci sono sempre rimasti. Grillo è un caso anomalo, ma dubito che possa riprendere in mano la sua creatura, ormai troppo istituzionalizzata per accordarsi al suo linguaggio e allo stile di leadership che vi è collegato. Non va dimenticato, fra l’altro, che Grillo a suo tempo ha scagliato contro Draghi strali pesantissimi. Come suo sponsor dell’ultim’ora non è molto credibile.

Guardando ai prossimi mesi, crede che un eventuale governo Draghi possa arrivare a fine legislatura o magari lo stesso ex presidente della Bce potrebbe finire al Quirinale per poi indire elezioni nella primavera del 2022?

Sono troppe le incognite per fare pronostici. Ragionevolmente, si può dubitare che uno come lui abbia accettato di mettere in gioco il prestigio di cui gode soltanto per levare le castagne dal fuoco ad altri, proprio in un periodo in cui tutti gli pronosticavano un cammino spianato per giungere alla Presidenza della Repubblica. Inoltre, se dovesse esserci sul momento un consenso largo al suo governo, certamente alcuni dei sostenitori lo intenderebbero come un avallo temporaneo, sperando in elezioni anticipate, e farebbero le proprie scelte tenendo gli occhi ben aperti sull’andamento dei sondaggi, pronti, nel caso, a staccargli la spina.