Lo scontro sulle spese militari che ha lacerato per 48 ore la maggioranza evocando addirittura lo spettro di una crisi di governo provocata da una disfida sul meno rilevante fra gli atti parlamentari, l'ordine del giorno, è stato un prologo e un segnale dall'allarme: il contrario esatto dell'incidente increscioso ma circoscritto. Il confronto sempre a rischio di degenerare in conflitto all'interno della maggioranza si ripeterà più volte, ed è quasi inevitabile. Ma la prima linea, quella sulla quale il rischio di rottura potrebbe diventare concreto, saranno probabilmente, prima o poi, le sanzioni future contro la Russia. Ieri, mentre i media di tutto il mondo rilanciavano le immagini atroci da Bucha, il segretario del Pd Letta ha chiesto senza perifrasi di passare alla sanzione più estrema: «Quante Bucha servono prima di passare a un embargo completo su petrolio e gas russi». Letta si era già espresso in questo senso, però mai in modo altrettanto fragoroso ed esplicito. Il ragionamento del leader del Pd ha una sua indiscutibile coerenza che lo rende molto più di un semplice affondo: se ci si trova di fronte a un macellaio genocida è non solo eticamente inconcepibile ma anche pragmaticamente controproducente continuare a finanziare la sua guerra con l'acquisto quotidiano di petrolio e soprattutto gas. Conte, dal canto suo, ha messo le cose in maniera nella sostanza opposta: «Se vogliamo che termini questa carneficina dobbiamo lavorare con tutti gli strumenti a nostra disposizione per una soluzione politica». Sulla carta le due linee non sarebbero inconciliabili. Si può sempre dire che portare le sanzioni a livelli ancora più estremi di quanto non sia già stato fatto ha per obiettivo costringere Putin a trattare per arrivare alla "soluzione politica". La realtà è opposta: un ulteriore passo avanti sulla strada della guerra economica significherebbe sancire che per l'occidente il conflitto si può concludere solo con la vittoria, cioè con la defenestrazione di Putin. La strada di Letta e quella di Conte sono in realtà opposte e riflettono una divisione più vasta nell'area della maggioranza e anzi della politica in Italia. Iv e Fi, nonostante i rapporti personali tra Berlusconi e Putin, non si sono attestate sinora su posizioni molto diverse da quelle del Pd ma, soprattutto per quanto riguarda il partito azzurro, non è detto che la stessa posizione resista a fronte di una scelta che travolgerebbe la ripresa economica italiana. La Lega, oscillante e indecisa, probabilmente finirebbe per fare asse con i 5S e forse solo un'emergenza di dimensioni gigantesche come questa permetterebbe anzi il riavvicinamento tra i due partiti ex alleati dopo anni di insulti reciproci e guerra spietata. FdI, dall'opposizione, difficilmente sacrificherebbe la credibilità "atlantista" conquistata schierandosi con Draghi sulla guerra.Certo, la scelta non è e non sarà italiana. A decidere le sanzioni deve essere l'Unione che al momento non ha affatto deciso. Il vicepresidente della Commissione Dombrowskis lascia aperte tutte le opzioni e così il commissario Gentiloni, che però nei toni è decisamente cauto. Ma l'Italia non è una voce secondaria in Europa, anche se per ora si tiene in disparte limitandosi con il ministro Di Maio a dirsi pronta a tagliare i rifornimenti di gas.La stessa Europa è in realtà traversata dalle differenze che dividono la maggioranza italiana e la posizione di chi non vorrebbe arrivare al punto di rottura totale è probabilmente a tutt'oggi ancora la più forte. Ma la forza delle cose rischia di tirare in direzione opposta, perché la Ue non è riuscita ad assumere una posizione autonoma che le permetta di proporsi come soggetto attivo a favore di una trattativa reale la contraddizione denunciata da Letta non può, alla lunga che risultare troppo lacerante e non tollerabile. Del resto, dopo l'uscita domenicale di Letta, confermata anche ieri, fonti del Pd spiegavano che siccome alla fine la Ue non potrà che assumere la decisione più drastica meglio prepararsi subìto. Se sarà davvero così, ed è probabile, la maggioranza italiana potrebbe non reggere alla prova e la divisione non rispecchierà quella, già resa posticcia dalla crisi ucraina, tra ala destra e ala di centrosinistra della maggioranza stessa.