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Di Maio Giuseppe Conte
Il passo di lato di Luigi Di Maio, che si è dimesso dal comitato di garanzia dei cinque stelle, ha alimentato i sospetti incrociati. L'ala del Movimento vicina al ministro degli Esteri sottolinea che non c'è alcuna volontà di scissione. Ma la premura con cui lo ribadisce lascia trasparire il dubbio che nel Movimento possa esserci chi non esclude l'eventualità. Mentre alcuni contiani vedono nella mossa di Di Maio il tentativo di una strategia che mira a logorare la figura del presidente. Fermo restando che uno degli esponenti Cinque stelle più vicini a Di Maio, Vincenzo Spadafora, lo dice quasi chiaramente che c'è «un tema di leadership. Sono passati diversi mesi - spiega - e ancora siamo in una fase di gestazione del progetto politico di Giuseppe Conte». L'ennesimo terremoto in casa Cinque stelle preoccupa gli alleati del Pd. Su due fronti: quello della nascitura coalizione di centrosinistra, che potrebbe subire contraccolpi dalla guerra interna al Movimento, e quello del governo, con una maggioranza che deve fare i conti anche con le beghe del centrodestra. Da una parte e dall'altra, cioè fra i contiani e fra i fedeli a Di Maio, si chiede un momento della verità. Che qualcuno teme (e altri auspicano) possa trasformarsi in una resa dei conti. Ma le divisioni riguardano pure il come. Si è parlato di un'assemblea dei gruppi oppure, come ha detto Conte nei giorni scorsi, di «un chiarimento pubblico, con tutte le sue componenti, i gruppi e gli iscritti». Una formula che non è piaciuta all'ala che fa capo a Di Maio: «C'è il rischio gogna», è il timore. Nel marasma delle mille formule possibili, a Spadafora scappa pure una parola che nel Movimento Cinque Stelle è indigesta: «Non so come si chiamerà, se sarà un congresso. Ma c'è bisogno di un momento di confronto chiaro e democratico, inclusivo». Ma attenzione, ha sottolineato Spadafora, «non deve essere una occasione per cercare un capro espiatorio» - leggi Di Maio - «e coprire un momento di debolezza», leggi: quella di Giuseppe Conte. La lettura dei contiani la dà Paola Taverna, al Corriere della Sera. «Giuseppe Conte è stato eletto dalla base con oltre il 90% dei consensi - ha detto - Se si continua a logorare la leadership attraverso la stampa, non si fa il bene del Movimento». Per la vicepresidente del Senato, dopo le dimissioni di Di Maio dal comitato , servono «ulteriori momenti di chiarezza e trasparenza. Sono dovuti alla nostra stessa comunità: tempi e luoghi sono ancora da definire». L'avvio della ressa dei conti è partito subito dopo la rielezione di Sergio Mattarella al Colle, quando Di Maio ha chiesto in tv di «aprire una riflessione politica interna» al M5s, criticando quindi la condotta di Giuseppe Conte sulle trattative per il Colle. Ma l'appuntamento del Quirinale è stato solo l'occasione per far esplodere in maniera plastica le tensioni che fra i due leader covavano da tempo. Seguito dal punto di osservazione degli alleati, il film che sta mandando in scena il Movimento Cinque Stelle inquieta non poco. Lo ammettono le due capogruppo del Pd, Debora Serracchiani alla Camera e Simona Malpezzi al Senato. «Noi guardiamo con grande attenzione a quanto sta accadendo nel Movimento - ha detto Serracchiani a La Stampa - poiché per la costruzione del campo largo di cui parla Letta si deve partire da chi ci è vicino ed ha condiviso con noi alcuni percorsi». Nel Pd c'è «preoccupazione» per quanto accade tra i Cinque Stelle. La capogruppo Malpezzi ha allargato lo spettro: «Le diverse situazioni che stanno vivendo alcune forze politiche non devono avere ripercussioni sull'attività di governo. Siamo preoccupati che le discussioni interne a Lega e M5S si scarichino sul governo. Il Paese deve ancora uscire dalla pandemia e dalla crisi economica. Non ci possiamo permettere instabilità».