Quando si tratta di azzannare Matteo Salvini dà sempre il meglio di sé, o a seconda dei punti di vista il peggio. Si può facilmente immaginare le sua sofferenza negli ultimi mesi, con tutto quel tubare tra Roma e Bruxelles: lo shopping di Giorgia e Ursula, gli abbracci tra la premier e Roberta Metsola, la spedizione a Tunisi con la solita e immancabile von der Leyen ma anche con il falco olandese e papabile futuro presidente del consiglio europeo Rutte. Persino quell'accenno di incendio nelle relazioni con Macron, nel novembre scorso, l'alleata sovranista e premier lo ha cercato con successo quasi completo di soffocarlo sul nascere. Salvini ci ha anche provato a indossare, anche dal punto di vista dell'abito, le vesti del politico pacato e responsabile. Gli andavano strettissimi. Lo stile dell'uomo è tribunizio. I consensi li ha sempre conquistati a suon di anatemi, non a colpi di sommesse riflessioni.

Ma la partita era in mano a Giorgia Meloni, e la leader di FdI era ben decisa a giocarla seguendo una strategia opposta: provando con cedimenti e arretramenti continui la propria “responsabilità” in vista di un'ascesa nella nuova maggioranza europea, a braccetto con il Ppe e con i liberali. Tutta gente che considera Salvini e i suoi alleati europei del gruppo Identità e Democrazia alla stregua di vampiri da finire il prima possibile.

Conscio di non avere spazio di manovra il leghista si è adattato, senza mai andare oltre il borbottio. Ma ora che vede la strada improvvisamente sgombra non perde un attimo e affonda i denti, morde sino all'osso. Le sue parole e quelle di Giorgia Meloni sulla mossa di Francia e Germania, il rafforzamento delle truppe a Mentone ordinato da Macron, la denuncia del meccanismo volontario di solidarietà deciso da Scholz e dalla ministra degli Interni Faeser, sono non diverse ma opposte. Per Salvini è una dichiarazione di guerra, per Meloni un passo prevedibile e giustificato, dal momento che il problema non sono i ricollocamenti ma il fermare gli irregolari prima che tocchino terra europea.

La premier sapeva bene di dover affrontare, con l'avvicinarsi delle elezioni europee, una sfida a destra. La leader di FdI ha troppa esperienza per non aver previsto l'inevitabile offensiva di Salvini. Pensava però di dover giocare la partita con una disposizione della scacchiera tutta diversa, potendo far valere un rapporto solido con quell'Europa che sin qui aveva sempre considerato la destra alla stregua di pericolosi barbari. Contava proprio sulle manovre in corso in Europa in vista degli equilibri post- elettorali per strappare condizioni migliori sia sulla revisione del Pnrr che sulla riforma del Patto di stabilità. Pensava di parare il colpo più duro e doloroso, un fallimento totale sul fronte dell'immigrazione, rivendicando i passi avanti sul cammino dell'assunzione di responsabilità dell'intera Unione: questo intendeva dire quando, all'assemblea nazionale di FdI, ha rivendicato la sua strategia che mira non a «risultati effimeri» ma alla «risoluzione strutturale del problema».

Giorgia dovrà invece muoversi su un terreno ben diverso da quello che immaginava. Con un'Europa tornata ostile. Con una prospettiva di cambio di maggioranza a Strasburgo quasi sfumata. Con la Germania e i paesi nordici ben decisi a tornare davvero al rigore. Con una Bce che ha scelto ieri di ignorare i moniti, non solo italiani ma dell'intera Europa, e di continuare a rialzare i tassi. Con una solidarietà sull'immigrazione tornata al punto di partenza, cioè a zero, dal quale peraltro non si era mai molto allontanata.

Per Salvini il nuovo quadro è un'occasione insperata e preziosa. Gli permette già di presentarsi come il capofila di quanti criticano l'arrendevolezza della premier, che in cambio della prosternazione ha ricevuto ben poco. Sul fronte dell'immigrazione ha gioco facile. Su quello dell'economia, meno vistoso ma molto più sostanziale, l'agibilità è invece limitata dal ruolo di Giorgetti, che ha gestito quanto e più della premier la politica di pacificazione con l'Europa del rigore. Ma per il capo leghista l'occasione è troppo importante per rischiare di sprecarla. Se vuole competere con la leader di FdI come vero leader di una destra non piegata, in un modo o nell'altro dovrà chiarire la situazione con il suo numero due. Quanto a Meloni, alle prese con la prima vera difficoltà da quando guida l'Italia, le sue doti politiche, dovrà decidere come fronteggiare una situazione molto diversa e molto peggiore del previsto. La prima vera prova delle sue capacità politiche.