Ecco, il punto vero è proprio questo: che succede se vince Grillo? A pochi giorni dal voto referendario, è infatti la domanda più gettonata non solo nei rarefatti uffici studi di cancellerie, banche e istituzioni finanziarie non unicamente europee, ma anche nei salotti e perfino nei baretti sotto casa. Una domanda perciò che è giustificato dire che corre di bocca in bocca. Peccato che la risposta latiti. Perché da impeccabili "cunning losers", perdenti astuti, i Cinquestelle zufolano alla perfezione il mantra della sconfitta ma si tramutano in impareggiabili mimi - tanto effervescenti quanto privi di indicazioni politicamente percorribili - quando debbono gestire una vittoria. E' un problema che sta dentro al Dna del MoVimento. «Non finirò mai di dirvi che il NO è la più alta forma di politica esistente. Noi siamo i perdenti e anche un po' poeti. Il successo è per il 99% fallimento. Dunque imparate ad essere perdenti», compita l'ex comico dal suo blog. Già, ma se poi vinci che fai? Lasciamo stare il fatto che quando le risposte arrivano poi succede che fanno rimpiangere il tempo delle domande: vedere quel che accade a Roma con il sindaco Virginia Raggi per capire. lasciamo perdere. La la questione di fondo non cambia: se prevale il No e la riforma costituzionale di Matteo Renzi viene cancellata, come gestiranno la vittoria gli stellati?Forse Grillo non se ne preoccupa ma lo stato maggiore del MoVimento ci pensa eccome, visto che domenica sera la dimensione perdente potrebbe cambiare segno e a quel punto i grillini si ritroverebbero ospiti d'onore, con una sedia bella ingombrante, al tavolo dei vincitori.Solo che la vittoria comporta oneri almeno pari agli onori. E quel ritmato battimani "onestà, onestà" - pur tralasciando i fatti e gli imbarazzi, anche in questo caso silenti: per di più di fronte ai magistrati, di Palermo e Bologna - certo non basterebbe di fronte alla voragine politica che si aprirebbe, sia che il premier lasci sia che rimanga. In quel caso, infatti, minacciano di diventare impellenze ineludibili le proposte, le parole d'ordine e forse addirittura le possibili ancorché larvate intese con altre forze politiche per esempio per varare un sistema proporzionale: una bestemmia per il lessico grillino che tuttavia più diventare, in men che non si dica, realtà. In verità qualche balbettìo qua e là si affaccia. Per esempio un denso e possibilista «vedremo» buttato lì da Di Battista su un governo di scopo post-renziano per cambiare l'Italicum; subito isolato e rimangiato. O anche l'arabesco di Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, che di fronte a precisa richiesta sussurra: «Se vince il No? Andremo sul Colle da Mattarella e gli diremo: presidente, è ora che gli italiani abbiamo un governo suffragato dal voto. Per cui per cortesia si vada ad elezioni». Però serve una legge elettorale. «Noi abbiamo la nostra proposta. Se si vuole, bastano due settimane per approvarla e poi via alle urne». Facile, no?No, non proprio. Intanto se uno avanza una proposta deve accettare che anche gli altri lo facciano. Per cui è necessario sedersi attorno ad un tavolo: in questo caso meglio se parlamentare, le crostate della signora Letta non hanno funzionato allora, figuriamoci adesso. I Cinquestelle ci starebbero, archiviando la stagione dell'isolamento, tanto spendido quanto inane? Chissà. Forse. O forse no.E poi c'è un altro problema, neppure questo di poco conto. Stavolta temporale. Due settimane sono un lasso un po' stretto per accordarsi su una legge che deve trovare l'ok di Berlusconi e di Renzi. O di uno dei due almeno. Facile a dirsi, complicatissimo a farsi. Se le settimane si allungano e diventano mesi, non è che l'Italia può rimanere senza governo o mantenerne uno dimissionario con il compito di affrontare dossier delicatissimi come l'emergenza immigrati; la messa in sicurezza dei conti pubblici; il rapporto-scontro con la Ue; lo sforzo per la crescita economica; la lotta alla disoccupazione soprattutto giovanile e meridionale. Come si comporterebbero in un simile passaggio i grillini: appoggerebbero, anche solo con l'astensione, un esecutivo (se non di scopo con altra etichettatura, poco importa) che duri fino a missione compiuta, cioè al varo di un nuovo meccanismo elettorale? Oppure rovescerebbero il tavolo intonando senza se e senza ma ancora una volta il coro del No, sicuri di lucrare consensi sull'inevitabile - a quel punto - accordo tra Pd e Fi, immediatamente etichettabile come inciucio?«Il pericolo più grande si corre nell'ora della vittoria», sosteneva Napoleone. Per i Cinquestelle niente è più vero. Con la non trascurabile differenza che Grillo non è Napoleone. Uno è ligure, di Genova. L'altro còrso, di Ajaccio. Dirimpettai di mare, tutt'al più. Una liaison geografica: la leadership è tutt'altro paio di maniche.