Ormai litigano su tutto. Ultima la sfida sugli inceneritori: «indispensabili» per Salvini; che «non c’entrano una ceppa» ( letterale) per Di Maio. Ma di fatto non c’è una singola materia dell’azione di governo sulla quale i due dioscuri della maggioranza gialloverde non facciano registrare divisioni, divaricazioni, distanze. Leader litigiosi, elettorati sovrapponibili Il cemento gialloverde che non si sfalda

Le conseguenze sullo scenario politico complessivo sono due. La prima. Cresce tra gli addetti ai lavori la convinzione che il governo non reggerà a tensioni così laceranti e presto, magari già prima delle elezioni europee, la coalione si sfalderà; il mitico Contratto verrà strappato; la campagna elettorale si giocherà su un bipolarismo Lega- M5S. E gli altri a fare da comparse.

La seconda. Niente di quanto descritto sopra accadrà. L’intesa tra Salvini e Di Maio è solida ed entrambi hanno interesse a proseguirla. Il capo leghista ha raddoppiato i consensi da quando governa assieme ai Cinquestelle: a che pro cambiare e buttare tutto all’aria? Il vicepremier pentastellato, al di là del nodo del doppio mandato sempre aggirabile come ogni vincolo procedurale, sa che il MoVimento di governo è quello che ha la sua faccia e le sue impronte digitali con le quali ha sottoscritto il patto con Salvini. Non ce n’è un altro, nel senso che se arriva Di Battista non è per riscrivere un accordo per palazzo Chigi bensì per portare i pentastellati al- l’opposizione. Insomma se l’esecutivo Conte va a casa, l’M5S perde la scommessa del governo e sulle poltrone ministeriali rischia di non tornarci più. Una corsa a perdifiato durata anni che si sgonfia un attimo dopo aver tagliato il traguardo: che senso ha?

Allora chi vede giusto: i fan del primo scenario o gli ultrà del secondo? Hanno ragione entrambi. E contemporaneamente torto ambedue. Come è noto, il peccato originale della Cosa Gialloverde è di aver dato luogo ad una convergenza di tipo pattizio e non politico. Le ragioni dell’uno sono state giustapposte accanto a quelle dell’altro: che la maionese fosse destinata ad impazzire era chiaro. Vero è che, come amano ripetere, Matteo e Luigi basta che si incontrino una mezz’oretta e risolvono sempre tutto. Accade perché il loro rapporto, che poggia su una confluenza generazionale e ideale, è al contempo troppo e troppo poco. Troppo per essere derubricato a pura sinergia opportunistica dettata dalla voracità di potere. Troppo poco per garantire all’azione di governo un ritmo lineare invece che sincopato.

Tuttavia esiste e agisce qualcosa di più profondo nelle viscere del Paese. Finora infatti abbiamo descritto diagrammi di Palazzo; rumors che si intrecciano nei corrodoi di Montecitorio e palazzo Madama; valutazioni e ragionamenti al centro dei colloqui riservati e riservatissimi nelle stanze che contano. Poi però ci sono le persone. C’è il popolo: le spinte che lo pervadono e le paure che lo stringono. E per capire cosa sta succedendo e il valore vero del voto del 4 marzo è utile leggere la ricerca fatta da Sociometrica e dal suo direttore Antonio Preiti, ripresa dalla newsletterList di Mario Sechi. Scorrendola, infatti, emerge il quadro di due elettorati che si identificato e quasi si sovrappongono. Per esempio il livello di istruzione per la media inferiore è del 10,9 nella Lega e del 10,2 nei Cinquestelle. Quello di istruzione superiore rispettivamente del 68,4 e del 68,1. Cioè chi vota gialloverde ha avuto lo stesso percorso educativo e ha “imparato” le stesse cose. Per il regista Paolo Virzì il voto gialloverde è «la rivincita di quelli che andavano male a scuola». Caustico. Solo che sono diventati ministri. Non basta. Sempre secondo i dati di Sociometrica, l’ultilizzo dei social è per l’elettorato della Lega al 30 per cento nella categoria “a volte”; del 30,7 nell’M5S. “Sempre” tocca il 59,8 tra chi vota Lega e il 62,5 per chi opta per i Cinquestelle.

Il cemento vero, sociale e per certi versi addirittura “ideologico”, dell’accoppiata Carroccio- grillini sta qui. E’ un cemento che ha preso dappertutto nel Paese, e che la divaricazione tra Nord e Sud maschera ma non sgretola. I due partiti vanno avanti insieme perché ad indirizzarli verso la convergenza c’è la sottostante spinta dei rispettivi elettorali che vogliono più o meno le stesse cose. Vale per la giustizia come per la voglia di lasciare a casa “quelli che c’erano prima”. Casomai la vera competition si giocherà su quanto Lega e M5S potranno sottrarsi vicendevolmente in termini di consensi. Una partita decisiva, certo. Ma da vasi comunicanti.