L'Europa è sotto attacco. La denuncia della presidente dell'Europarlamento Roberta Metsola è stata vibrante e decisa, più che allarmata. Senza nulla togliere alla gravità dello scandalo “Qatargate” è inevitabile chiedersi se solo quel caso di corruzione basti a giustificare toni così estremi. È probabile che la presidente tema un contagio più diffuso. È improbabile che l'azione di inquinamento pagato a peso d'oro da parte dei Paesi dittatoriali (e molto ricchi) ai quali ha alluso la presidente Metsola si sia limitata a un drappello esiguo come quello per ora coinvolto. La vicenda è ancora nebbiosa.

Le accuse, sia quelle contro i corrotti che contro i corruttori, devono essere provate, anche se gli indizi sono molto pesanti. In ogni caso le dimensioni delle Public Relations a suon di mazzette sono per il momento del tutto ignote. Ma per pronunciare parole così pesanti la presidente del Parlamento non può che temere un’infiltrazione più ampia e più profonda di quanto si veda al momento.

Ma forse c'è qualcosa di più che giustifica la tensione palese nel discorso di Roberta Metsola. La Ue vive un momento difficilissimo, e si troverebbe nelle stesse condizioni anche se il Qatar e qualche altro Paese non avessero mai sborsato un euro e lo scandalo non fosse scoppiato. La guerra e la crisi Ucraina sono state il brusco risveglio da un sogno che in realtà coincideva con un incubo, quello del Covid.

L'illusione generale era che la reazione compatta, unitaria e solidale alla tempesta scatenata dal Coronavirus fosse un passo senza ritorno. Che dal male dell'epidemia fosse nato il bene di un superamento di quella preminenza degli egoismi nazionali che aveva fino a quel momento afflitto l'Unione precipitandola negli anni ‘10 di questo secolo in una crisi gravissima.

La guerra, la crisi energetica che in parte preesisteva e in parte ne è derivata, l'impennata imprevista dell'inflazione hanno rivelato con l'immediatezza brutale del fulmine che l'ottimismo era esagerato. Se col Covid la Ue aveva dato il meglio di sé, in questa crisi sta dando il peggio, su tutti i fronti. Coordinare una reazione comune e solidale sembra, e sin qui è effettivamente stato, impossibile. Almeno su questo fronte, le parole che ha usato ieri la presidente Meloni alla Camera sono indiscutibili e lo

stesso Draghi non avrebbe probabilmente adoperato toni diversi. Quelle che stanno prevalendo sono in effetti «logiche unilaterali secondo le quali gli Stati con maggior spazio fiscale fanno da sé e quelli con scarsa capacità di spesa possono essere lasciati indietro». Non si tratta solo di una contingenza specifica, pur se di enorme importanza.

Se la Ue si appresta ad affrontare un passaggio chiave come la revisione dei Trattati animata da questo spirito invece che da quello della crisi Covid, come è inevitabile senza una sterzata drastica, le conseguenze sono facilmente immaginabili. Anche in termini di consenso popolare, il cui declino è stato all'origine delle difficoltà del decennio scorso.

Della grande illusione, forse, faceva parte anche la convinzione di aver superato quella reazione antieuropea alla quale era stato dato il nome di “populismo”. Appena un anno fa quell'ondata sembrava in pieno riflusso, un'ombra dissipatasi. Anche in quel caso il sospirone era stato tirato con eccessivo anticipo.

La resurrezione di un M5S che in Italia era dato per spacciato e le affermazioni tutt'altro che rassicuranti di molte forze “populiste” o “sovraniste” nel Continente rivelano che lo spettro non si è affatto dileguato. In molti Paesi lo stallo di Bruxelles rischia di tradursi in difficoltà concretissime per le popolazioni, o almeno nell'impossibilità di fronteggiare quelle difficoltà.

Su questo terreno già di nuovo bagnato, pur se non ancora inondato come negli anni ‘10, cade ora la pioggia del Qatargate, e si sa quanto la corruzione dei politici sia carburante magico per i movimenti populisti. L'allarme di Metsola è dunque senza dubbio dettato dalla paura che lo scandalo si riveli di proporzioni tali da delegittimare le istituzioni europee, ma quella paura non ci sarebbe se le istituzioni stesse fossero davvero solide e non minate dalla rinascita degli egoismi nazionali nell'Unione.

Il tempo per cambiare rotta e indirizzo c'è, ma per ora, alla vigilia di un Consiglio europeo particolarmente importante da questo punto di vista come quello di oggi, di segnali rassicuranti se ne colgono ben pochi.