PHOTO
Salvini Ponte sullo Stretto
Ieri l’espressione “Autonomia differenziata” è sparita da tutte le prime pagine dei giornali nazionali dopo averle occupate per qualche giorno come un’urgenza che sembrava non più rinviabile. Lo stesso destino del Ponte sullo Stretto, la cui necessità periodicamente cresce a dismisura fin quando non viene stoppato in attesa di un nuovo rilancio. Non a caso ieri, il Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, componente autorevole di Forza Italia, ha rilanciato con energia la costruzione del Ponte chiedendo e augurandosi il via ai lavori entro il 2023. E al contempo ha bocciato l’Autonomia differenziata, rinviandola comunque a data da destinarsi, che è la stessa cosa.
L’Autonomia differenziata che oggi si ritrova in Costituzione ( la grande leva invocata e agitata dai leghisti Zaia e Fontana, ma anche dal Pd emiliano e romagnolo di Bonaccini ora in competizione per la segreteria nazionale e non per quella del Pd del Centro-Nord) è stata varata nel 2001 dopo un complesso tragitto in Parlamento e un referendum al quale partecipò soltanto poco più di un terzo degli italiani. Non è quindi una norma voluta e decisa dai Costituenti, che sul punto furono molto cauti per non combinare pasticci.
La norma fu, invece, il risultato di una spinta confusa delle sinistre che, in quel primo anno del nuovo secolo, in sciagurata competizione elettorale col centrodestra e soprattutto con la Lega di Bossi, tentarono di togliere spazio politico e voti agli avversari. Una fatica inutile perché persero comunque le elezioni facendo spazio al terzo governo Berlusconi. Ovviamente, questa ricostruzione non toglie una virgola alla legittimità della norma sui trasferimenti dallo Stato alle Regioni, anche se ne spiega la sua confusione e, forse, la sua impossibilità. Come, secondo alcuni, la costruzione del Ponte.
Fatto è che dopo oltre un ventennio quella norma, che ora il ministro leghista Calderoli vorrebbe accelerare, non si è mai riusciti a costruirla. La risposta più semplice e convincente è che non sia accaduto perché la sua realizzazione, specie nei termini pretesi dalla Lega, sia pure con l’appoggio degli alleati di Bossi e Salvini, è irrealizzabile. Esattamente come il Ponte sullo Stretto che va bene come metafora e sogno per raggiungere l’impossibile e per consentire rapide promozioni economiche e sociali ma ( in questo tempo storico) non realizzabile non foss’altro perché dovrebbe tenere unite due zolle, Sicilia e Calabria, che tendono a spostarsi allontanandosi anziché restar ferme.
Comunque l’Autonomia differenziata - che spazia dalla tutela del lavoro, all’istruzione, alla sanità e via elencando per 23 funzioni complessive - per com’è intesa dalla Lega, che vorrebbe che lo Stato affidasse in modo pressoché definitivo i quattrini per quelle incombenze alle Regioni, oltre a non essere consentita dal testo della Costituzione, con alta probabilità spaccherebbe in due il paese rendendo incompatibile la convivenza tra Centro-Nord e Sud. Si tratterebbe, infatti, di spostare circa 200 miliardi di euro dai 750 circa che lo Stato incassa complessivamente dal gettito fiscale. La Lega e i suoi Presidenti di Regione infatti sono attestati ( non formalmente ma di fatto) sulla richiesta di un trasferimento “di risorse” alle Regioni per la gestione di tutte e 23 le funzioni previste. Richiesta, per la verità, che sembra non aver alcun fondamento giuridico.
Proprio ieri Sabino Cassese, uno dei più autorevoli costituzionalisti italiani, ha ricordato che la Costituzione non parla mai di trasferimento di risorse alle Regioni: «Parla di maggiori compiti, non di maggiori risorse da trasferire» alle Regioni, ha scandito. Comunque le Regioni meridionali insistono su un punto: prima di ogni iniziativa si definiscano i Lep, cioè i Livelli essenziali di prestazione, cioè il costo dei servizi che lo Stato deve fornire in modo uniforme su tutto il proprio territorio a tutti i cittadini nessuno escluso.
A questa questione irrinunciabile si risponde con furbizia sostenendo che essendo questa un’operazione complessa e lunga, si potrebbe intanto ricorrere alla “spesa storica”, cioè a quanto fin qui ha realmente speso lo Stato per assolvere ai bisogni della popolazione a Milano e a Catania. Un criterio che farebbe saltare aria il Paese perché porterebbe a galla, fissandola di fatto per un futuro chissà quanto interminabile, la differenza stridente e inaccettabile nel trattamento per i cittadini della stessa nazione.