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«Io capisco che un ministro della Giustizia non possa venire a firmare per un referendum sulla giustizia, ma la invito ugualmente a farlo». Il vice presidente del Senato Roberto Calderoli, navigatissimo parlamentare leghista, scafato architetto di leggi elettorali e conoscitore maniacale dei regolamenti d’Aula lancia la sua provocazione alla ministra della Giustizia: «Venga a firmare anche lei, la aspettiamo! Ma soprattutto spero vengano a firmare i cittadini perché andare avanti così non è giusto». Le parole da sottoscrivere sono quelle contenute all’interno dei sei quesiti referendari che il Carroccio ha deciso di sostenere per aprire a spallate il sistema giustizia. E pare che a suggerire a Matteo Salvini di appoggiare senza indugi la raccolta firme promossa dai Radicali sia stato proprio il più volte ministro Calderoli.
L’intuizione ha permesso alla Lega di uscire dall’angolo in cui si era cacciata - tutta concentrata su sterili polemiche per un on’ora in più di coprifuoco - e rimesso la strategia politica al centro del ragionamento del centrodestra. Sì, perché per il partito di via Bellerio che nel corso di vari governi ha contribuito a creare parte delle leggi che oggi vorrebbe abolire tramite consultazione popolare - non era affatto scontato mettere al centro dell’agenda il referendum. Se non fosse che giustizia, ormai, fa rima con Alfonso Bonafede, l’ex ministro grillino ancora così affezionato alle sue riforme ( prescrizione in testa) da provare a rallentare quelle di Cartabia, diventate nel frattempo urgenti causa Recovery Fund.
Sostenere un referendum aggirando il Parlamento significa dunque per la Lega girare il coltello nelle piaghe pentastellate e farsi una passeggiata tra le contraddizioni dell’alleanza giallo- rossa.
Sono tanti, infatti, gli esponenti del Pd a uscire allo scoperto giorno dopo giorno, per annunciare “a titolo personale” il proprio sostegno ai quesiti. Così, il nervosismo nel campo avversario aumenta e le pretese del M5S di bloccare le riforme dell’attuale governo scendono. Un meccanismo elementare ma estremamente efficace, innescato proprio dal senatore Calderoli. Che spiega le ragioni della svolta: «Nutro la massima stima nell’attuale ministro della Giustizia, Maria Cartabia, per il il suo incarico attuale e per la sua esperienza e autorevolezza da giudice», è la premessa del ragionamento di chi dice di aver apprezzato le parole pronunciate dalla Guardasigilli al Senato sull’avviso di garanzia come «tutela» dell’indagato e non come implicita prova di colpevolezza. «Se non fosse che nella realtà temo siano scritte sull’acqua», prosegue Calderoli.
«Se la Cartabia dovesse mai, e non glielo auguro ovviamente, provare sulla propria pelle cosa significa ricevere un avviso di garanzia ritengo che solo allora potrebbe capire che significato ha oggi mediaticamente la ricezione di quest’atto a tutela dell’indagato», argomenta l’esponente leghista, che proprio per porre davvero fine alla barbarie giustizialista invita la ministra a sottoscrivere i referendum.
Peccato che l’inquilina di Via Arenula sia parecchio impegnata in queste settimane a riformare la Giustizia per via parlamentare, come spetta fare a un ministro della Repubblica. Ma la provocazione di Calderoli serve ad aprire nuovi squarci tra i grillini. Fa parte del vastissimo repertorio di uno dei personaggi più controversi della Lega: vituperato e osannato a seconda delle fasi. Messo alla berlina per anni a causa della legge elettorale che porta il suo nome, ma da tutti conosciuta come “Porcellum” per una definizione che lo stesso autore diede al proprio testo di legge («una porcata» ), Calderoli è uno degli “uomini macchina” a cui il Carroccio si rivolge quando ha bisogno di sbloccare o ingolfare situazioni ingarbugliate. Raffinato maestro di ostruzionismo - quando bisogna presentare decine di migliaia di emendamenti per bloccare una legge ( pare utilizzi un software apposito) - e trucido padano d’altri tempi quando c’è da attaccare l’Islam, gli immigrati tout court o su questioni genere - Calderoli per l’ennesima volta dà il suo contributo alla causa leghista. E se Salvini non impazza più in Tv a parlare solo di coprifuoco ma si è messo a far politica, il merito è anche un po’ suo.