Giornata pienissima, a Granada, quella di ieri per Giorgia Meloni impegnata in una missione che sembra e forse è disperata: quella di imporsi come figura chiave a livello internazionale sul fronte più nevralgico che ci sia oggi (dopo la guerra, della quale però per principio non si parla se non per ribadire totale sostegno all'Ucraina), l'immigrazione.

Ieri la premier aveva in agenda due bilaterali, entrambi importanti: quelli con il polacco Morawiecki e con il tedesco Scholz. Però a campeggiare era un altro capo di governo, il britannico Sunak. Dopo che giovedì a Granada si era formato il cosiddetto Patto a Sei (Italia, Gran Bretagna, Francia, Olanda, Albania e Commissione europea), i due premier hanno firmato la stessa lettera, pubblicata in Italia dal Corriere della Sera e in Uk dal Times. Il patto a 6 ha un obiettivo immediato, forzare la mano alla Ue sul memorandum contrastatissimo con la Tunisia di Saied, e uno strategico, allargare il fronte in difesa dei “confini esterni” anche al di là dell'Unione europea.

L'aspetto interessante negli incontri di ieri di Meloni e nell'azione congiunta con il premier britannico è che i tre leader rappresentano per intero il ventaglio delle posizioni inconciliabili che dividono l'Unione. Morawiecki è da sempre forse il capo di governo più vicino a Giorgia Meloni che ci sia in Europa: oggi, proprio sul fronte che più dovrebbe legarli, l'immigrazione, è forse il più lontano. Il comunicato di palazzo Chigi al termine del faccia a faccia è quanto di più eloquente. Informa che i due si sono «lungamente intrattenuti» su tutti i temi principali dell'agenda europea ma relega nell'ultima riga l'immigrazione, cioè proprio il tema al centro del Consiglio informale. L'italiana e il polacco si sono confrontati su diverse questioni «nonché sui temi migratori». Parlare di reticenza sarebbe poco e lo si può capire dato che un altro alleato storico di Meloni, l'ungherese Orbàn, tuonava quasi nello stesso momento contro «lo stupro legale perpetrati ai danni di Polonia e Ungheria» con il Patto che impone il risarcimento pecuniario a chi rifiuta di accettare le redistribuzioni.

Scholz rappresenta invece quel che resta di una posizione moderatamente di sinistra ed è ben poco. Il diverbio della settimana scorsa è stato risolto grazie a una classica soluzione salomonica e pertanto fragilissima. L'emendamento al Patto immigrazione che la Germania aveva aggiunto all'ultimo momento, quello che veicolava un timido appoggio alle Ong, è stato non cancellato ma spostato nell'introduzione. Figura fra le voci che fanno seguito alla formula «considerando». La differenza c'è: messe così le cose l'emendamento non è più vincolante. Però è evanescente. Scholz, pressato da una spinta di destra che nel suo Paese non si concretizza solo nel vento che gonfia le vele della AfD ma anche e soprattutto in un impressionante spostamento a destra della Cdu, si è rassegnato a una sconfitta diplomatica che però, nonostante il trionfalismo del comunicato finale, non sana una divaricazione di fondo che si riproporrà nei prossimi mesi. Non solo sul fronte “nobile” del sostegno alle Ong ma soprattutto su quello terragno dei criteri in base ai quali si potrà dichiarare lo stato di crisi e di conseguenza invocare la redistribuzione degli arrivati dribblando le regole di Dublino. La Germania ha accettato il Patto solo dopo aver fatto in modo che quei criteri siano a maglie molto strette.

La realtà è che sul fronte dell'immigrazione, ma non solo su quello, oggi la vicinanza più reale si registra proprio tra la “sovranista” Meloni e leader liberali o conservatori come Sunak, Macron e una parte della Cdu tedesca. In fondo la principale alleata della premier italiana, in Europa, è Ursula von der Leyen e la lettera anglo- italiana esalta proprio i “10 punti” della presidente della Commissione. Del resto, quanto a nazionalismo anti- migranti, i discorsi dell'austero Schaeuble vanno oltre quelli dello scalmanato Salvini. In questo scontro con tre protagonisti che dilania l'Europa più di quanto non appaia e che oggi si combatte soprattutto sul memorandum con il tunisino Saied, sempre più impantanato, la leader della destra italiana si trova in una posizione tra le più delicate. Grazie allo spostamento verso destra del centrismo conservatore europeo e al suo stesso slittamento, a partire dallo schieramento a favore dell'Ucraina, è oggi molto più vicina a quell'area che non agli amici di ieri. Ma per raggiungere i traguardi ambiziosi che si è posta deve riuscire a garantire una comunicazione tra il conservatorismo con l'abito buono delle grandi cancellerie europee e quello scamiciato dei suoi principali alleati di destra sia in Europa che nella sua Italia. L'eterna paralisi sul fronte dell'immigrazione rivela quanto la partita sia difficile.